Accordo Migranti UE

June 11, 2023
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Ma cosa ha ottenuto davvero l’Italia che spera di non diventare “il centro di raccolta migranti dell’Unione” (9 GIUGNO 2023)


Nell’unico testo prodotto dopo l’accordo, la nota del Consiglio tradotta e pubblicata non c’è alcun passo avanti rispetto alla “solidarietà” tra Paesi Ue, che restano liberi di rifiutare il ricollocamento dei migranti dai Paesi di primo ingresso: basta pagare. Né si trova traccia dei traguardi rivendicati in serata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, a partire da una trionfale dichiarazione: “Non saremo il centro di raccolta migranti dell’Unione europea”. Dopo essersi opposta all’approvazione della proposta della presidenza svedese, l’Italia ha deciso di votare a favore.


A convincere Piantedosi sarebbe stata l’apertura alla richiesta italiana di stringere e implementare accordi con Paesi terzi, a partire da quelli di transito, dove espellere gli irregolari che non riusciamo a rimpatriare nei Paesi d’origine. Una soluzione che ammorbidisce, almeno a parole, le resistenze della Germania che pretende si tratti di Paesi terzi sicuri, dove il migrante abbia maturato una connessione effettiva se non addirittura familiare.

Ma a fronte delle nuove procedure di frontiera che continuano a gravare sui Paesi di primo ingresso come il nostro, e di una solidarietà unicamente su base volontaria, l’Italia rientra dal vertice con la sola disponibilità dei partner europei a lasciarci avviare collaborazioni con Paesi extra Ue dove rimandare i migranti.


Una procedura complessa, senza contare i costi dei trasporti, i tempi tecnici e le difficoltà nelle procedure di identificazione dei migranti che il nostro Paese conosce fin troppo bene, tanto che mediamente non abbiamo mai rimpatriato più di 3-4 mila persone l’anno.

L’intuizione, tutta da dimostrare, è trasferire la responsabilità a Paesi extraeuropei, in particolare quelli dei Balcani occidentali e del Nord Africa, con l’uso di strumenti giuridici come il concetto di “Paese terzo sicuro”, che già nella proposta del Consiglio viene fortemente incoraggiato come base per evitare di concedere alle persone l’accesso a una procedura d’asilo conforme o più in generale alla protezione nell’Unione europea.


Ancor prima di ragionare di “irregolari”, cioè di persone che hanno visto esaminata e respinta la domanda d’asilo, il Consiglio ha infatti proposto che, “in base alla legislazione nazionale”, “una domanda è inammissibile” se il richiedente ha una “connessione” con uno Stato non membro che può dirsi “primo Paese d’asilo” o “Paese terzo sicuro”. Una riforma che apre a rischi di arbitrarietà e che tuttavia, evidenzia il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (Ecre), “non aumenta la probabilità che questi Paesi accettino di ospitare persone rimpatriate dall’Ue”.


“le misure principali sintetizzate”. Il nuovo regolamento sulla procedura d’asilo (APR) introduce “procedure di frontiera obbligatorie, con lo scopo di valutare rapidamente alle frontiere esterne dell’UE se le domande sono infondate o inammissibili”, è scritto nella nota, che precisa come “le persone soggette alla procedura di frontiera non sono autorizzate a entrare nel territorio dello Stato membro”. Quando si applicano le procedure di frontiera?

Alle domande presentate a un valico di frontiera esterna da chi è stato fermato “in relazione a un attraversamento illegale” e “dopo essere sbarcato in seguito a un’operazione di ricerca e salvataggio (SAR)”. Inoltre, scrive il Consiglio, “la procedura è obbligatoria per gli Stati membri se il richiedente è un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, se ha ingannato le autorità con informazioni false o omettendo informazioni e se il richiedente ha una nazionalità con un tasso di riconoscimento inferiore al 20%”.


Visti anche soltanto i numeri degli sbarchi sulle coste italiane dall’inizio dell’anno che ormai ammontano a 53mila, sul fronte operativo la questione è a dir poco gravosa, anche perché il nuovo regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, quello che il Consiglio considera un “superamento” del regolamento di Dublino, continuano ad affidare la competenza sull’esame delle domande d’asilo ai Paesi di approdo come il nostro.

A questa responsabilità viene posto un limite temporale, ma non è certo un vantaggio per l’Italia, più volte accusata dai partner europei di lasciare che i migranti procedano verso altri Stati membri, senza registrarli e voltandosi dall’altra parte, come del resto dimostrano i numeri di regolari e irregolari presenti nel nostro Paese, ormai stabili nonostante gli ingressi.

Per rimandarci i migranti entrati in Europa attraverso i nostri confini, gli Stati membri avranno fino a due anni. E ancora, “se uno Stato membro respinge un richiedente con la procedura di frontiera”, la sua responsabilità non termina con l’espulsione, ma “terminerà dopo 15 mesi (in caso di rinnovo della domanda)”.