TRATTATO DUBLINO

September 22, 2023
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iL RECENTE INCREMENTO DEGLI ARRIVI DEI MIGRANTI NEL MEDITERRANEO, STA CREANDO incertezze e rabbia fra la gente comune e confusione fra i politici che spesso ne ignorano i contenuti.

Dublino è un quadro giuridico che determina lo Stato competente per l’esame di una domanda d’asilo. Sono Stati Dublino tutti gli Stati membri dell’UE e i quattro Stato associati (Svizzera, Norvegia, Islanda e Principato del Liechtenstein).

La Norma è strutturale e fondamentale a livello europeo per la gestione dei migranti  stabilisce “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide”. L’ultima versione approvata, il cosiddetto Dublino III, è del 2013

Precedenti

DALLA CONVENZIONE AI REGOLAMENTI DI DUBLINO – Prima dei regolamenti, il 15 giugno 1990 a Dublino 12 Stati membri Ue, tra cui l’Italia – ai tempi sotto il quarto governo Andreotti – firmarono la Convenzione di Dublino.

Il trattato è entrato in vigore sette anni dopo, nel mese di settembre del 1997. Uno dei principi cardine che lo costituisce è quello secondo cui è lo Stato di primo approdo del migrante che deve far fronte al “sistema” accoglienza, domanda d’asilo inclusa, impedendo quindi che i richiedenti tale diritto facciano richiesta in più Stati membri.

I Paesi che la sottoscrissero erano Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito Il documento è entrato poi in vigore nel 1997, anche per Austria, Svezia e Finlandia.

Nel 2003, il Regolamento di Dublino II sostituì la convenzione per tutti gli Stati firmatari, a eccezione della Danimarca, dove è poi entrato in vigore nel 2006. La nuova norma fu firmata dal governo Berlusconi II, con i ministri degli Interni e degli Esteri Giuseppe Pisanu e Gianfranco Fini. Il suo campo di applicazione si estese poi anche Liechtenstein, Islanda, Svizzera e Norvegia

Altro punto fondamentale del trattato è quello di evitare il più possibile che vi siano richiedenti asilo detti “in orbita” e cioè che siano trasportati da uno Stato membro ad un altro. Da questi principi si evince come il trattato penalizzi i Paesi meridionali dell’Europa, Italia compresa, che registrano ogni anno l’arrivo di diverse migliaia di migranti su tutto il territorio nazionale.

Le modifiche del 2003 e del 2013

Se negli anni della firma del primo trattato di Dublino il fenomeno era ridimensionato, con l’aumento del numero degli sbarchi soprattutto lungo le rotte del Mediterraneo i principi cardine previsti dal regolamento hanno creato più di un grattacapo ai Paesi del sud del vecchio continente. In particolare, la circostanza secondo cui i migranti devono chiedere asilo soltanto nello Stato di primo approdo, ha rappresentato per Italia e Grecia un onere gravoso che ha avuto conseguenze importanti anche sul piano interno.

Inoltre il divieto di movimenti secondari interni all’Ue da parte dei richiedenti asilo, ha comportato il respingimento di migranti da parte di altri Paesi, a partire soprattutto da Germania, Francia e Austria, verso gli Stati di primo approdo.

Gli stati membri ,del mediterraneo soprattutto, hanno richiesto costantemente delle modifiche. Mai attuate in maniera strutturale.

Si avvicendano: Nel 2003 il regolamento “Dublino II” e nel 2013 il regolamento “Dublino III”. La modifica del 2003 non è stata di tipo sostanziale ma più che altro formale dal momento che alcuni Paesi, Danimarca in primis, avevano rinunciato ad adottare alcune regole previste nel documento.

Nel 2013 altre modifiche hanno incluso tutti gli Stati membri ad eccezione della Danimarca. Il principio cardine però è rimasto lo stesso, ovvero che lo Stato di primo approdo del migrante è quello che si occuperà dell’accoglienza e della relativa richiesta d’asilo.

Una condizione estremamente penalizzante per gli stati membri rivieraschi. anche perchè mentre nel 1990 lo stesso principio si basava sul buon senso in quanto la percentuale delle migrazioni era contenuta, mentre nell’ultimo decennio la situazione ha assunto dimensioni diverse

nel 2013, la situazione ha assunto prospettive diverse a causa dell’afflusso imponente di migranti. Sono state quindi sollevate numerose polemiche sulla possibilità di rivedere il trattato con modifiche innovative basate sul mutato conteso socio politico.

L’obiettivo di questo sistema rimane sempre uguale. La competenza, per l’esame della domanda d’asilo di una persona incomba in maniera inequivocabile a un unico Stato accogliente.

Con questo disciplinamento della competenza ci si propone di garantire ai richiedenti l’asilo un accesso effettivo alla procedura d’asilo come anche un trattamento celere della loro domanda. Con ciò s’intende garantire che ciascun richiedente l’asilo abbia la certezza che la sua domanda sarà esaminata e che non vi siano due Stati che trattino la sua domanda simultaneamente.

In cosa consiste l’Accoglienza nel 2023?

Vediamo quali sono le fasi dell’accoglienza in Italia, secondo la normativa entrata in vigore dal marzo 2023.

Soccorso, prima assistenza e identificazione. I cittadini stranieri soccorsi in mare vengono condotti in centri localizzati nei pressi delle aree di sbarco per la prima assistenza sanitaria, il fotosegnalamento e la pre-identificazione. Questo tipo di centri sono interessati dall’approccio hotspot, nato nel 2015 in ragione degli impegni assunti dal governo italiano con la commissione europea. Nei centri c’è anche il primo scambio di informazioni sulle procedure per l’asilo: è qui che si differenziano i richiedenti asilo dai cosiddetti migranti economici, che saranno avviati ai centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) o lasciati sul territorio in condizione di soggiorno irregolare (D.lgs 286/1998, art. 10-ter).

Sull’approccio hotspot
leggi la relazione della commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza
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Centri governativi. Chi manifesta la volontà di richiedere asilo in Italia viene trasferito presso i centri governativi dove viene avviata la procedura di esame della richiesta di asilo (d.lgs. 142/2015, articoli 9 e 10). In questi centri devono anche essere accertate le condizioni di salute degli ospiti, con il fine di verificare eventuali situazioni di vulnerabilità. In queste strutture trovano quindi accoglienza i richiedenti asilo anche se con servizi ridotti al minimo. Il decreto 20/2023 infatti ha eliminato dai centri governativi i servizi di assistenza psicologica, i corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio. Oltre all’accoglienza materiale, dunque, rimangono attivi solo l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e la mediazione linguistico-culturale.

Centri di accoglienza straordinaria (Cas). Qualora si esaurissero i posti disponibili nei centri governativi, le prefetture possono prevedere l’istituzione di Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e affidarli a soggetti privati mediante le procedure di affidamento dei contratti pubblici (d.lgs. 142/2015, articolo 11). All’interno di queste strutture, come nei centri governativi, vengono accolti i richiedenti asilo con servizi ridotti sia rispetto a quanto previsto in precedenza che, a maggior ragione, rispetto al Sai.

Il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Come anticipato, con le nuove regole il Sistema di accoglienza e integrazione (già Siproimi e prima ancora Sprar) torna ad essere un sistema dedicato esclusivamente ai titolari di protezione, o quasi. Solo ad alcune categorie di richiedenti asilo infatti sarà ancora permesso di accedere al Sai. Tra questi i minori stranieri non accompagnati (Msna), le persone che si trovano in particolari condizioni di vulnerabilità o chi sia entrato in Italia tramite “corridoi umanitari” o sistemi analoghi.

Tutti i dati sul sistema, struttura per struttura
su Centri d’Italia
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Il supporto a percorsi di integrazione. Al termine del periodo nel Sai le amministrazioni locali possono avviare altre iniziative con lo scopo di favorire l’autonomia individuale dei cittadini già beneficiari del Sai, con particolare riguardo a una maggiore formazione linguistica, all’orientamento lavorativo e ai servizi pubblici essenziali, e alla conoscenza dei diritti e dei doveri fondamentali sanciti dalla costituzione.

Con la crescita delle presenze nel sistema di accoglienza è andata aumentando la quota di persone accolte nei Cas, a scapito dei centri appartenenti al sistema ordinario a titolarità pubblica, chiamato negli anni Sprar, Siproimi e oggi Sai. Nel periodo considerato, infatti, il sistema ordinario è sempre stato minoritario, a vantaggio dei Cas, divenuti negli anni di gran lunga il maggioritari. L’anno in cui la percentuale di presenze nel sistema ordinario è stata maggiore è il 2021 (31,6% del totale delle presenze). Al contrario, gli anni in cui il peso del sistema ordinario è stato minore sono stati 2016 e 2017 (13,5%).

Riflessioni

Il lieve aumento di posti nel sistema a titolarità pubblica negli anni 2022-2023 non è il segno di un cambio di rotta nelle politiche di accoglienza quanto piuttosto la conseguenza di una serie di contingenze, tra cui due crisi specifiche: quella afghana e quella ucraina.

In ogni caso questo aumento si è dimostrato del tutto insufficiente. Eppure un periodo di calo della pressione migratoria come quello attraversato tra 2019 e 2021 sarebbe stato il momento ideale per ripensare il sistema in modo strutturale.

Leggi l’analisi del sistema su
Centri d’Italia
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Con l’avvento del governo Meloni poi le norme si sono mosse in direzione opposta rispetto a un modello che dovrebbe vedere nell’accoglienza solo il primo passo di un più complessivo processo di integrazione.

Come abbiamo visto infatti, oltre a non permettere più ai richiedenti asilo (o almeno a quasi tutti) di accedere ai servizi del Sai, il nuovo sistema prevede una riduzione dei servizi di assistenza e integrazione nei centri governativi e nei Cas. In aggiunta viene creato un ulteriore livello di accoglienza straordinaria, ovvero le strutture di accoglienza provvisoria, con ancora meno servizi.

Non è chiaro però quando un prefetto dovrebbe decidere di attivare questi centri invece dei normali Cas. In entrambi i casi infatti la legge specifica che queste strutture dovrebbero essere attivate quando non ci sono più posti negli altri tipi di centro. Ma in caso di mancanza di posti nelle strutture Cas il prefetto può sempre attivarne di nuovi. Non si capisce quindi sulla base di quale valutazione dovrebbe decidere di attivare strutture meno efficaci in termini di integrazione e accoglienza. (d.lgs. 142/2015, articolo 11 comma 2).


https://salvatorebulgarella.com/2023/09/19/accoglienza-migranti/
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