PRODI EURO Altro

March 15, 2023
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Il governo Prodi e l’ingresso italiano nella moneta unica: tra difficoltà interne e sfida europea (1995-1998)

L’Italia entra in EURO Malgrado L’opposizione Franco Tedesca.

Tenuto conto che in questo contesto che giunge il monito della Commissione del 23 aprile 1997: l’Italia e la Grecia sono gli unici Paesi non in linea. 

Quando nel dicembre del 1997 furono decisi i Paesi ammessi alla terza fase dell’Unione Economia e Monetaria, tra cui l’Italia, i tassi di interesse sui debiti pubblici iniziarono a convergere rapidamente.

In pochi mesi il famigerato tasso scese di circa 400 punti. In pratica da quel momento abbiamo risparmiato 4 punti percentuali di interessi l’anno sul debito pubblico. Allora il nostro debito era circa il 120% del PIL, quindi il risparmio era di circa il 4,8% del PIL all’anno.

Bastava mantenere le tasse e le spese com’erano, senza fare nulla, senza rigore o austerità, e il debito sarebbe sceso di circa 5 punti percentuali l’anno. E’ ciò che ha fatto il Belgio: entrato nell’euro con un debito del 120% del PIL nel 1997, alla vigilia della crisi nel 2007 l’aveva ridotto all’87%.

Purtroppo per l’Italia la manna dei tassi bassi fu usata dal centro-destra per aumentare la spesa corrente azzerando l’avanzo primario. Questa prassi si è manifestata costantemente durante tutti i governi Berlusconi dal 1994 al 2011

COME STAVA italia prima dell’euro?? FALLITA ?!!!

La notte di venerdì 10 luglio 1992 il Governo Amato sconvolse gli italiani annunciando un prelievo forzoso dello 0,6% da tutti i conti correnti: la misura, smentita solo fino a pochi giorni prima, si rese necessaria per salvare i conti pubblici in un contesto di debito pubblico fuori controllo e Lira sotto pressione

QUESTI SONO i FATTI LE BUFALE LE LASCIAMO AGLI IDIOTI

Purtroppo con il Governatore Berluscono sono Saltati i controili sui prezzi un ERRORE STORICO. . E ci sarebbe da ridere perché  fu proprio il suo governo  che non volle gestire questa fase come invece avvenne in tutti gli altri paesi»

«Il 1 gennaio del 2002, quando la moneta unica fu introdotta, Berlusconi governava da sette mesi e per i 3 anni successivi  non ha fatto assolutamente nulla : non istituì le commissioni provinciali di controllo e non imponeva il sistema del doppio prezzo esposto, in lire ed euro, per le merci in vendita.  Questa pessima gestione  ha caratterizzato solo il nostro Paese e questo è accaduto unicamente per  non scontentare il suo elettorato ».

«Non è vero che gli altri paesi abbiano avuto degli sbalzi di prezzo come i nostri! Non è vero che siano rimasti inattivi come rimasta l’Italia.

Noi avevamo le commissioni: una commissione centrale che Ciampi ed io avevamo costituito con il nostro governo, le commissioni provinciali non sono mai state convocate. Non si è fatto nulla, nemmeno per mantenere il doppio prezzo

Solo per memoria storica si riportano le critiche insensate degli addetti ai lavori in Primis Berlusconi e Tremonti

“Quella di Berlusconi e Salvini dell’euro causa di tutti i mali del sistema economico italiano per l’errore presunto di Prodi di aver introdotto a valori ‘improvvidamente accettati’ è una bufala formato XL, ottima da indossare per la stagione elettorale 2017-2018 ma che, malgrado il formato, non riesce a nascondere le precise responsabilità del Governo di centrodestra che, probabilmente per non scontentare il suo elettorato, non seppe o non voler vigilare correttamente al momento del passaggio lira/euro.”

“Un po’ di fact-cheking: la bufala extra-large, infatti prende a riferimento non il passaggio all’euro negoziato dall’allora governo Prodi nel 1996-98 fino all’adozione sui mercati nel 1999 sulla base dei tassi effettivi di cambio al 31 dicembre 1998, ma la circolazione monetaria della moneta unica, iniziata nel gennaio del 2002 in pieno governo Berlusconi-Tremonti, in carica in quel momento da circa 7 mesi e per i 3 anni successivi.”

“La fissazione del cambio lira-euro a circa 2.000 vecchie lire fu speculare a quella della Germania di 2 vecchi marchi per 1 euro. Fino alla circolazione monetaria non vi fu nessuna anomalia.

Queste iniziarono invece con l’adozione fisica della nuova moneta che, nell’assoluta mancanza di controlli e vigilanza da parte del Governo Berlusconi e del Tesoro, fu lasciata allineare al cambio effettivo di 1-a-1 con le vecchie 1.000 lire determinando un effetto a valanga di svalutazione reale degli asset, dal carrello della spesa fino al mercato immobiliare.

In Italia, tanto per citare qualche misura concreta, non furono istituite le commissioni provinciali di controllo e non si imposero il sistema del doppio prezzo esposto, in lire ed euro, per le merci in vendita”.

il percorso compiuto dall’Italia verso la moneta unica tra il 1995 e il 1998, focalizzando l’attenzione sull’attività del principale protagonista di questa fase politica, Romano Prodi, dalla campagna condotta alla guida dell’Ulivo in vista delle elezioni politiche del 1996 sino alla decisione del Consiglio europeo del maggio 1998, che sancì l’ingresso dell’Italia nell’Unione monetaria europea (UEM) [1] .

Il riconoscimento del rispetto dei criteri di convergenza economica (solidità della finanza pubblica, stabilità del tasso di cambio e dei prezzi, bassi tassi d’interesse a lungo termine) e legale (indipendenza della Banca d’Italia) fissati dai trattati, che permise l’ingresso dell’Italia nel gruppo di testa dell’UEM, rappresentò l’esito di un’azione politica articolata sul doppio binario – interno e internazionale – per mantenere il nostro Paese ancorato al progetto europeo che aveva contribuito a fondare negli anni Cinquanta.

Si trattò di un esito tutt’altro che scontato perché si confrontò non solo con difficoltà interne ma anche, sulla scena comunitaria, con un rigido scetticismo tedesco (dettato dalla preoccupazione di rendere instabile la nuova moneta ammettendo l’Italia tra i paesi fondatori) e, almeno inizialmente, con l’accordo francese a escludere l’Italia pur di arrivare all’accordo con Berlino sulla moneta unica.

  1. La traversata del deserto: l’asse franco-tedesco e l’isolamento italiano in Europa (1994-95)

Tra il 1994 e il 1995 è sostanzialmente l’asse franco-tedesco a gestire l’applicazione del trattato di Maastricht e l’avvio della nuova moneta, fissato per il 1999. 

Sul piano economico l’espulsione nel 1992 della lira dal Sistema monetario europeo (PMI), che legava le valute partecipanti a una griglia di cambio predeterminata, e le oscillazioni della nostra moneta, accreditano progressivamente l’affermazione di un’Unione monetaria ristretta, senza la partecipazione italiana.

 

Nel rapporto economico annuale pubblicato il 12 dicembre 1994 dalla Commissione europea il giudizio sull’Italia è piuttosto severo: si critica in particolare l’abbandono della linea di risanamento delle finanze pubbliche adottata nei due anni precedenti.

A partire dal gennaio 1995 gli succede un governo tecnico guidato da Lamberto Dini, che mantiene l’ interim  del Tesoro e nomina al Bilancio l’economista Rainer Masera, già collaboratore di Ciampi nel negoziato per Maastricht [2] .

L’isolamento italiano in questo contesto è peraltro testimoniato dalla più autorevole stampa europea:

Ripristinare la fiducia: non esistono altre parole d’ordine per il futuro governo nato dalla crisi italiana. Questa fiducia persa dal governo Berlusconi a partire dall’estate scorsa, e che è così duramente mancata alla lira, che ha battuto ogni record storico negativo rispetto al marco tedesco […]. La personalità del probabile capo del governo, Lamberto Dini, conterà molto per ripristinare la fiducia […]. Il tentativo di Lamberto Dini di formare un governo si inserisce dunque in un contesto particolarmente delicato. L’Italia può essere paragonata al Messico, come hanno fatto alcuni economisti? Esiste al meno un punto in cui essa si trova in una posizione più scomoda rispetto al grande paese latino-americano: mentre Bill Clinton si è impegnato in prima persona per sostenere il Messico, i grandi partner europei dell’Italia hanno mantenuto un silenzio assordante durante tutta la durata della crisi. Né Kohl, né Mitterrand, né Major hanno proclamato la propria fiducia nell’Italia [3] .

 

Nel frattempo dal marzo 1995 è stato attuato il trattato di Schengen, che introduce una piena libertà di circolazione tra nove paesi europei (Italia, Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo, Olanda, Spagna, Portogallo e Grecia) ma che l’Italia (oltre alla Grecia) non è inizialmente in grado di attuare per carenze burocratiche, alimentando le preoccupazioni per la marginalità europea del nostro Paese [13] .

L’Italia si trova contemporaneamente in una posizione scomoda e inedita: per la prima volta dagli anni Cinquanta il nostro paese appare isolato e ai margini del progetto europeo e vede messo in discussione uno dei due storici ancoraggi della propria collocazione internazionale (assieme all’appartenenza al Patto atlantico).

In questo contesto il governo Dini, nonostante alcune frizioni in Europa, soprattutto con la Francia di Chirac polemica per la svalutazione della lira [14] , punta a una stabilizzazione dei conti consapevoli della sua natura di esecutivo “a tempo” che deve traghettare il paese verso elezioni politiche, la cui data viene fissata per il 21 aprile 1996, durante il semestre di presidenza italiana dell’Ue.

Nel corso della campagna elettorale l’Ulivo fa dell’Europa il tema centrale della propria proposta politica: l’Ue rappresenta, agli occhi della coalizione di centro-sinistra e del suo leader Prodi un primario interesse nazionale. 

Prodi può d’altronde contare su un sostegno ampiamente maggioritario nell’opinione pubblica italiana: l’85% degli italiani dichiara di sostenere il processo d’integrazione europea.

L’Europa appare ancora in questa frangente come un veicolo di legittimazione politica e di consenso politico ed elettorale. 

All’indomani della vittoria elettorale dell’Ulivo, il governo Prodi, per garantire l’ingresso dell’Italia nel gruppo di testa che avrebbe dato vita alla moneta unica, articola una duplice strategia – legata al rispetto dei parametri di Maastricht [20] .

Su questo terreno la strada pare in salita su tutti i criteri principali: il deficit di bilancio deve essere inferiore al 3% e l’Italia nella primavera del 1996 è al 6,7%, il debito pubblico non deve oltrepassare il 60% del Pil e l’Italia è al 124% ; l’aumento deve essere controllato e invece il tasso è di tre volte superiore a quello dei paesi più virtuosi dell’Ue [21] . Il nostro Paese deve infine essere riammesso nello SME, da cui è escluso dal 1992.

La strategia europea del governo Prodi in questa frangente si articola in due fasi: sino al Consiglio europeo di Firenze (21-22 giugno 1996) tenta di sondare la possibilità di un rinvio o quantomeno di un ammorbidimento dei criteri di Maastricht, mentre dall’estate dello stesso anno – verificata l’impraticabilità di questa soluzione – il governo si risolve a concepire la Finanziaria da 62.500 miliardi per garantire l’ancoraggio alla moneta unica nei tempi previsti.

 

Al suo primo Consiglio europeo, Prodi percepisce una fiducia personale nei suoi confronti, ma Il premier rileva un notevole isolamento. Kohl e soprattutto Chirac, che ricorda con poco favore le svalutazioni italiane tra il 1992 e il 1995, che “hanno fatto molto male a diversi paesi europei, e in particolare alla Francia” [27] , sono decisi ad andare avanti nei tempi e nei modi concordati, senza variazioni sulla tabella di marcia, a costo di procedere senza l’Italia.

È dunque in questo contesto che viene concepita la manovra finanziaria da 62.500 miliardi di lire, in una riunione ristretta a Palazzo Chigi a cui partecipano Prodi, il vicepremier Veltroni ei ministri economici Ciampi, Treu e Visco. Il presidente del Consiglio punta a garantire la credibilità europea dell’impegno italiano con il varo di una “euro-tassa” ad hoc. si crea in Europa un clima di progressiva fiducia attorno a Prodi e Ciampi, coronata dal rientro nello SME dopo quattro anni (novembre 1996) con la fissazione della parità con il marco a 990 lire.

L’impegno italiano per il rispetto dei criteri di Maastricht trova eco immediata in Europa e un generale apprezzamento per il rigore di una misura che non intacca le basi dello stato sociale [33] .

Il principale quotidiano francese, attraverso il suo direttore, cita in questa occasione l’impegno italiano e la pedagogia europeista messa in campo dal governo Prodi come un esempio che dovrebbe illuminare anche l’azione dell’esecutivo francese:

Restano tuttavia sul tavolo alcuni nodi irrisolti. In primo luogo lo scetticismo che permane in importanti ambienti europei, che continuare a vedere nell’Italia un paese poco affidabile: il timore è che l’impegno italiano per raggiungere la moneta unica costituisca in realtà uno sforzo momentaneo finalizzato al raggiungimento dell’obiettivo, che non sarebbe però mantenuto nel tempo.

Un altro colpo agli sforzi del governo italiano arriva ai primi di novembre 1996 dalla Commissione europea che, nonostante la manovra, avanza una previsione di deficit al 3,3% per il 1997, suscitando una risposta irritata, quanto puntuale, di Prodi a Santer [37] .

In particolare molti organi di stampa ritengono che quelli imposti dalla manovra siano sacrifici inutili [39] , difficilmente destinati al successo e che il governo Prodi goda comunque di scarse credenziali europee:

La strada verso la moneta unica, nell’autunno del 1996, pare ancora lunga e tortuosa.

  1. Romano Prodi e la “conquista” dell’euro in quattro tempi (1996-1998)

 

Rispetto alla possibilità che la cura “lacrime e sangue” faccia perdere consenso al processo di integrazione europea, Prodi assicura su quanto saldo sia nel contesto italiano tale sentimento. “Gli italiani sanno che l’Europa li ha salvati molte volte dai loro vecchi demoni” [43] .

La stoccata finale è diretta ai partner europei, in particolare alla Germania di Kohl: “Non sono io ad aver scelto l’ipotesi di una sola ondata di Paesi nella moneta unica.

Tempo 1 – L’offensiva di inizio 1997

Quello che si delinea come l’anno decisivo sembra iniziare positivamente per il governo Prodi.

 E ai primi di febbraio è lo stesso Prodi a rassicurare che l’Italia sarà nel primo gruppo di Paesi che varranno la moneta unica [46] . Per altro in vista di un delicato bilaterale Italia-Germania previsto a Bonn per il 7 febbraio, dalla Germania giungono smentite a proposito di un supposto scetticismo tedesco proprio riguardo all’ingresso italiano.

 

Ma che la dimensione pubblica e il sostanziale scetticismo tedesco tengano banco è testimoniato anche dal dibattito che si svolge nel corso del Consiglio dei ministri del 6 febbraio 1997. Sono in particolare Ciampi e Napolitano ad intervenire sul punto. Il primo ricordando di non cadere nelle provocazioni (anche tedesche) e marciare spediti per entrare nel primo gruppo e non commettere nuovamente l’errore commesso con Schengen.

Napolitano, viste le dichiarazioni di Kohl a 24 ore dal bilaterale, a “la Repubblica”: “Ecco quanto dirò all’amico Prodi: rispettare i criteri di Maastricht è come fare i compiti a scuola.

Quando ero scolaro, e non li svolgevo bene, per punizione poi non potevo uscire. Ed era solo colpa mia”) [49] . Bisogna notare che si tratta di un mix strano di avanzamenti e arretramenti, basti pensare che due giorni dopo l’ambasciatore tedesco a Roma Dieter Kastrup smentisce categoricamente le illazioni avanzate dal “Financial Times”, a proposito di un piano redatto dal governo federale su quelli che saranno i tempi dell’adesione italiana [50] .

Prodi conferma che l’offensiva di inizio anno è concreta nei fatti e nonostante le turbolenze interne (in parte dovuti alla questione albanese, con il via libera alla missione Alba solo ponendo la fiducia e voti grazie ai decisivi del Polo il 9 aprile, seguito da una verifica e da un ulteriore passaggio parlamentare con doppia fiducia al governo, con il sì anche di Rifondazione comunista) [53] ,

il 27 marzo il governo vara la manovra aggiuntiva bis per 15.500 miliardi (con il via libera del Parlamento, ponendo la fiducia, che giunge ad inizio maggio 1997).

 

Tempo 2 – I rimproveri della Commissione, il fronte comune e la possibile sponda francese

È in questo contesto che giunge il monito della Commissione del 23 aprile 1997: l’Italia e la Grecia sono gli unici Paesi non in linea. La previsione dell’ufficio statistico della Commissione europea entra nel dibattito politico italiano e sul banco degli imputati sono chiamati immediatamente il presidente del Consiglio e la sua maggioranza parlamentare, con il sostegno decisivo di Rifondazione Comunista. Sono in particolare il “Corriere della Sera” e “La Stampa” a sottolineare la dimensione politica del monitor proveniente da Bruxelles. Venturini dalle colonne del quotidiano di Via Solferino parla delle previsioni della Commissione come di un invito esplicito al governo italiano affinché si “cambi rotta” e si passi “alle riforme strutturali”, per rendere così “stabili e sostenibili negli anni futuri i fatidici parametri di Maastricht”. E per cambiare rotta occorre guardare al carattere eterogeneo della maggioranza che sostiene l’esecutivo. “Senza Bertinotti non c’è maggioranza, con Bertinotti non ci sono riforme strutturali delle pensioni, della sanità, del pubblico impiego” [54] . Ancora più dure e ultimative le parole di Sergio Romano. A suo avviso quello proveniente da Bruxelles è un giudizio “politico-costituzionale […] sulla credibilità della classe dirigente italiana. […] Cosa ha fatto Prodi per meritare questa credibilità? Ha corteggiato e vezzeggiato Bertinotti, ha coltivato il rapporto con Rifondazione comunista, vale a dire con una forza politica che non crede all’Europa né tanto meno alla necessità di mettere l’Italia in sintonia con la politica economica e sociale dei suoi partner” [55] . Le conclusioni dell’ex ambasciatore sono ancora più caustiche: “Comunque vada questa maggioranza, così come si è configurata, non può portarci in Europa. Molti lo sapevano da un pezzo. Oggi dovrebbero saperlo anche il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica” [56] .

Di fronte alle offerte “politicamente interessate” di Silvio Berlusconi, il quale “tende la mano” a Prodi prospettando “larghe intese” da sostituirsi al sostegno alla maggioranza da parte di Bertinotti, risponde un Prodi particolarmente volitivo. Il Presidente del Consiglio oltre a minimizzare il monito proveniente da Bruxelles ea sottolinearne la dimensione solo “ragionieristica”, ricorda che il prossimo passaggio sarà quello della riforma dello stato sociale, con o senza il sostegno di Rifondazione, lasciando spazio all’ipotesi di un “esecutivo di minoranza”. In realtà al di là delle letture catastrofistiche, il richiamo giunto da Bruxelles potrebbe non essere politicamente indifferente proprio per il presidente del Consiglio. Come ricorda l’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing, al documento dell’Ue definito “inopportuno e ingiustamente punitivo”, l’Italia può contrapporre la “serie delle promesse di Ciampi e la volontà di fare di tutto per mettersi in linea con i parametri di Maastricht”. Per poi concludere che “solamente con l’Italia, l’euro sarà una moneta europea” [57] . Se letto in quest’ottica il richiamo sembra legato più ad un passato di “cattivi comportamenti”, che ad un presente virtuoso che dovrebbe essere confermato. Interessante a tal proposito il commento di Geminello Alvi su “la Repubblica”, il quale insiste sul fatto che il vero significato politico del richiamo giunto a Roma è quello di un suo isolamento a livello continentale. L’assenza di veri alleati renderebbe l’Italia un Paese facilmente attaccabile e sul quale scaricare rimproveri e commenti che Paesi meno isolati e più autorevoli non riceverebbero seppur con conti pubblici e situazioni politiche non dissimili da quella italiana [58] .

Che la partita sia tutta politica e dunque politicamente vada giocata, a livello interno quanto a quello europeo, lo dimostra l’attitudine particolarmente offensiva proprio di Prodi nelle settimane successive. Egli, dopo aver incassato l’approvazione del Parlamento alla manovra aggiuntiva, decide di “tirare dritto”. E con l’intervento alla stampa del 30 maggio 1997 per presentare le linee del DPEF per il 1998 chiama a raccolta il Paese affermando che “il ruolo del Parlamento e delle parti sociali sarà determinante”. Altri quattro elementi devono essere considerati nel suo intervento. Prima di tutto che partecipazione all’UEM e risanamento delle finanze pubbliche sono due finalità che coincidono e che si alimentano vicendevolmente. In secondo luogo che far parte del primo gruppo non è solo una questione di prestigio, bisogna esserci per poter contribuire nella scrittura delle regole di funzionamento, per bilanciare la presenza di “molto Nord”. In terzo luogo il risanamento non deve essere pensato come fine a se stesso o solo finalizzato all’ingresso nell’euro, senza di esso non sarà possibile avere sviluppo e crescita, elementi fondamentali per assorbire la disoccupazione (cronico assillo dell’Europa di fine XX secolo). E infine egli ribadisce che l’operato del suo esecutivo si pone in linea con un processo avviato ad inizio anni Novanta [59] .

È un Prodi ancora all’attacco anche quello che si muove tra il Consiglio europeo di Amsterdam e l’intervista del 6 agosto pubblicata sul “Welt Am Sonntag”. Pochi giorni prima dell’importante consiglio europeo riceve un memorandum dal suo ministro degli Affari esteri Lamberto Dini, nel quale quest’ultimo in maniera nemmeno troppo velata gli suggerisce di sfruttare la recente vittoria elettorale di Jospin, per creare un asse con Parigi nella direzione di una lettura meno monetaristica del Trattato di Maastricht. È ancora Dini a sottolineare l’indisponibilità tedesca a trattare i temi della crescita e dell’occupazione. È infine Berlino, sempre a detta di Dini, a favorire il clima di incertezza su quando e chi farà parte del primo gruppo: è un’incertezza che finisce soltanto per incentivare la finanza speculativa [60] . Ed è proprio su questo punto che Prodi insiste, scrivendo a Santer in vista del Consiglio europeo di Amsterdam, ribadendo gli sforzi italiani, il rispetto che questi meritano e la necessità di date e tempi certi [61] .

Gli esiti del Consiglio europeo di Amsterdam sono giudicati insoddisfacenti dalla diplomazia italiana e in particolare da parte del titolare della Farnesina, il quale parla ancora della necessità che l’Italia si ponga alla testa dei Paesi che vogliono il rafforzamento dell’integrazione (senza dimenticare una dimensione istituzionale che presto sarà stravolta dai futuri allargamenti).

L’equilibrio interno/esterno sembra ben presente nell’ottica di Prodi. Non a caso, con un certo ottimismo (ma anche consapevole dei rischi potenziali di Rifondazione Comunista negli equilibri interni alla sua maggioranza) il 4 luglio, in Consiglio dei ministri, dichiara chiusa con successo la fase del risanamento e pronta a decollare quella per il rilancio dell’occupazione e lo sviluppo industriale.

Parlando al quotidiano tedesco “Welt Am Sonntag” il 6 agosto 1997, Prodi conferma il suo approccio determinato. È in particolare il rapporto italo-tedesco ad essere in questione. Se l’intesa con Kohl si sta consolidando, non altrettanto si può affermare della fiducia diffusa presso la pubblica opinione tedesca nei riguardi della credibilità economica del nostro Paese. Prodi punta il dito sul clima da campagna elettorale che sta vivendo la Germania (si voterà nel 1998) e sul fatto che la CDU/CSU fatica a raccogliere consenso sui temi dell’integrazione europea. Ecco le parole del presidente del Consiglio:

Noi siamo molto preoccupati da quando sappiamo che alcuni importanti uomini politici in Germania legano l’esclusione dell’Italia dall’Europa alla vittoria della loro battaglia elettorale. Lo considero un grave e pericoloso errore: comunque io voglio raggiungere uno scopo, e cioè l’entrata dell’Italia nella moneta unica, e per questo ho dovuto chiedere molti sacrifici al mio Paese. Per questo metto in gioco la mia personale carriera politica. Non può essere che il destino dell’Italia venga sacrificato per la carriera di politici tedeschi. Questo è un gioco pericoloso [62] .

Quando l’intervistatore fa un parallelo tra gli scontri sull’euro e quelli su Schengen ancora una volta Prodi non esita a stigmatizzare la strumentalità dell’utilizzo del tema dell’immigrazione per fini elettorali e loda l’equilibrio di Kohl proprio sul compromesso raggiunto su Schengen. Ma è la chiusura ed essere particolarmente offensiva. Toccato sul tasto dolente del potenziale ricatto sempre all’orizzonte da parte di Rifondazione Comunista, contraria a Maastricht e critica sulla permanenza italiana nella Nato, Prodi conclude: “Rifondazione Comunista concretamente ha sostenuto il mio governo in tutte le dure decisioni che riguardano l’Europa. Vorrei che anche in Germania vi fosse sui temi europei la stessa unità di volontà che vi è in Italia” [63] .

 

Tempo 3 – Dall’ottobre “maledetto” all’ultimo rilancio

L’impressione che l’ultimo trimestre dell’anno sia quello decisivo per le sorti dell’Italia nella “corsa all’euro” è subito confermata dalla rapidità e solidità mostrate dal governo Prodi nel licenziare la finanziaria 1998. Questa comporta interventi per 25 mila miliardi, con previsione di tagli di spesa su pensioni e aumento dell’Iva stabilita per decreto. I malumori di sindacati e Rifondazione crescono e il partito di Bertinotti non tarda ad aprire la crisi politica. Il primo ottobre il braccio di ferro tra Prodi e Bertinotti diventa realtà. Il leader di Rifondazione annuncia il “no” del suo partito alla finanziaria e Prodi ribatte che la stessa non sarà ritirata, né rivista. A questo punto dimensione interna e dimensione europea finisce per intrecciarsi. Per semplificare, si può affermare che Prodi riesca a trovare il “bandolo della matassa” grazie alla sponda francese. Il 3 ottobre Prodi, il primo ministro Jospin e il presidente Chirac si incontrano per un bilaterale a Chambéry (l’occasione è l’avvio dei lavori per il potenziamento dell’alta velocità attraverso il traforo del Fréjus).

Sul tavolo in realtà vi sono questioni politiche di più ampia portata. Da una parte la crisi politica italiana oramai aperta, con l’ipotesi nemmeno troppo assurda di una caduta del governo Prodi. E dall’altro, naturalmente, il tema del varo della moneta unica si unisce alle riflessioni del dopo Amsterdam. Ebbene l’ endorsement  francese a sostegno del governo Prodi è totale.

La politica di Jospin sui temi del lavoro (in particolare il tema delle 35 ore) è presentata dallo stesso primo ministro francese in maniera cauta, come punto di arrivo e non come provvedimento da varare nella sua totalità nell’immediato.

Si mostra insomma una possibile “via francese” alla risoluzione della crisi italiana. Il documento congiunto firmato dai due ministri del lavoro, Aubry e Treu, parla di “flessibilità del mercato del lavoro e riduzione dell’orario in modo che risulti veramente utile per creare nuova occupazione”.

Ma non si fanno riferimenti a scadenze e si ricorda che anche Parigi non ha ancora agito a livello legislativo. E non a caso Prodi riuscirà nella settimana successiva a garantirsi nuovamente il sostegno di Rifondazione promettendo a Bertinotti il ​​varo delle 35 ore a partire dal 2001 (con grande sdegno di Confindustria).

Sul fronte europeo è Chirac a lanciare una vera e propria ancora di salvataggio nei confronti di Romano Prodi. Accogliendo il primo ministro italiano, il presidente francese non esita ad affermare:

“L’Italia non ha solo la volontà, ma anche la vocazione per partecipare all’Euro dal ’99″ dadi. E aggiunge: “Sento parlare di crisi, non ci posso credere” [64] . Al di là della dimensione “strumentale” delle parole di Chirac (è chiaro da un lato che il presidente francese deve ritagliarsi un ruolo nella complessa gestione della nuova coabitazione ed è altresì chiaro che la leadership in crisi di Kohl apre, almeno potenzialmente, spazi maggiori al presidente francese, in carica dal 1995 e con ancora cinque anni di prospettiva sicura di fronte a sé),

Prodi riesce a risolvere la confusa crisi di metà ottobre e il 16 ottobre il governo, dopo essere stato rinviato alle Camere da Scalfaro, blinda la fiducia. Per altro sei giorni dopo l’iter delle riforme della Commissione bicamerale sembra subito una svolta positiva con il voto bipartisan (Popolari, PDS, Forza Italia e AN) sull’ipotesi semipresidenziale.

Ma la vera e propria offensiva di autunno ha una dimensione non pubblica che si sta concretizzando, come mostrato da un lungo documento redatto il 26 ottobre 1997 e poi sottoposto ai ministri degli Esteri e del Tesoro e al numero uno di Bankitalia Antonio Fazio in una riunione riservata a Palazzo Chigi il 20 novembre [65] .

L’obiettivo principale è quello di dare vita ad un coordinamento tra le principali istanze più direttamente coinvolte nella preparazione dell’Unione monetaria, appunto la presidenza del Consiglio, i ministeri degli Esteri e del Tesoro e la Banca d’Italia.

Se la prima riunione dovrà svolgersi a livello di numeri uno, Prodi indica subito nello schema chi dovrà concretamente animare il “gruppo dei Quattro” (sulla falsariga di quello che nel secondo semestre del 1990 aveva gestito la presidenza di turno italiana dell’allora Cee): Roberto Nigido come coordinatore per Palazzo Chigi, Mario Draghi per il Tesoro, Umberto Vattani per gli Esteri e Fabrizio Saccomanni per la Banca d’Italia (con l’aggiunta poi anche di Vittorio Grilli, Silvio Fagiolo e Pierluigi Ciocca).

Quale deve essere nel concreto il ruolo del “gruppo dei Quattro”? Si parte dalla consapevolezza che i tempi oramai siano maturi e che tra marzo e maggio del 1998 la partita dell’euro sarà chiusa. Si sottolinea poi che le principali perplessità ancora nutrite, in particolare dal Ministero delle finanze tedesco e dalla Bundesbank, si concentreranno non tanto sui conti nell’immediato ma sulla “sostenibilità” del processo di risanamento italiano sul medio-lungo periodo.

Quindi il gruppo dovrà prima di tutto controllare che il punto di vista nei confronti dell’Italia non si forme su informazioni scorrette o calcoli statistici errati. E in secondo luogo può aiutare efficacemente sulle valutazioni che riguardano l’Italia. Per questo secondo punto Prodi parla della necessità di preparare in tempi brevi un  Rapporto sul Processo di Convergenza dell’Economia Italiana e sulla sua Sostenibilità .

Un punto sul quale il presidente del Consiglio insiste particolarmente è che il traguardo dell’euro deve essere inserito in un più lungo percorso di risanamento complessivo dell’economia nazionale avviato dal governo Amato nel 1992.

A meno di due mesi dalla preparazione del documento informale e ad un mese esatto dalla prima riunione del “gruppo dei Quattro”, Nigido può scrivere a Prodi che il 22 dicembre si svolgerà una nuova riunione a Palazzo Chigi (alla presenza di Dini, Ciampi e Fazio) nel corso della quale verrà presentato il rapporto commissionato.

Una volta ottenuto il via libera (Nigido presenta già una bozza), compito suo, di Draghi, Vattani e Saccomanni sarà quello di illustrarlo ai partner europei e alle principali istituzioni incaricate di monitorare i conti italiani (Commissione, IME e OCSE tra gli altri). Nigido presenta già una serie di date, nel mese di gennaio e febbraio, con relativi capitali che riceveranno la visita degli “sherpa” italiani.

Oltre agli aspetti tecnici, la bozza del documento è interessante perché mostra come il gruppo sta lavorando anche per raccogliere informazioni e dossier su tutti i Paesi membri, con l’obiettivo di trovare argomenti affinché il dibattito europeo non finisca per concentrarsi soltanto sull’Italia (la ricerca è quella di cosiddetti “diversivi”) [66] .

Se l’“offensiva” deve garantire la conquista dell’obiettivo in primavera, le settimane dedicate alle festività di fine anno disegnano un quadro dell’immediato futuro a tinte rosee per il governo Prodi.

Non solo il 23 dicembre la finanziaria 1998 riceve l’ultimo voto positivo del Parlamento, ma il giorno precedente è stato il Fondo Monetario a consegnare il  cadeau  più desiderato.

Secondo le stime provenienti da Washington l’Italia ha raggiunto l’obiettivo del 3%, mentre Parigi e Berlino sono ferme al 3,1% nel rapporto deficit/Pil. Facendo sfoggio di moderato ottimismo, il ministro Ciampi può addirittura aprire l’anno, il 2 gennaio, parlando del 2,7% per l’anno appena concluso [67] .

Nonostante il bilaterale italo-tedesco svoltosi a Roma il 23 gennaio 1998 non abbia eliminato le numerose perplessità di Berlino (tenute a freno con sempre maggiore difficoltà da un cancelliere Kohl in calo costante nel gradimento dei suoi cittadini, in larga parte proprio per le sue posizioni europee), è un Prodi particolarmente volitivo quello che si presenta a Bruxelles il 28 gennaio per presentare alla Commissione Santer il quadro complessivo del lavoro svolto nell’ultimo anno e mezzo di riforme macro-economiche [68] . Al termine degli incontri è lo stesso presidente del Consiglio a non nascondere il suo ottimismo (“Personalmente non ho dubbi: l’Italia sarà dentro”) e addirittura dichiarare in un’intervista alla Bbc due concetti chiari.

Prima di tutto l’Italia ha un peso a Bruxelles inferiore a quello reale e il suo lavoro ha anche come obiettivo quello di interrompere questo trend. In secondo luogo l’obiettivo dell’Italia una volta completato il risanamento sarà quello di incidere nella “sostanza” nella vita politica europea. E ai cronisti che con insistenza chiedono se fosse riuscito a “convincere tutti”, è un Prodi al limite dello stizzito quello che replica: “Non ho il compito di convincere i miei partner.

Non sono un assistente sociale e nemmeno un confessore. Io ho il compito di svolgere il mio dovere, che poi vuol dire governare l’economia in modo stabile. E su questo ho avuto il sostegno e l’apprezzamento di molti colleghi europei. Ma anche i mercati credono in noi e nel nostro ingresso nella moneta unica” [69] .

In realtà che il quadro per il presidente del Consiglio non sia certo sgombro da incognite e possibili problematiche è dimostrato da un lato dall’ambiguità, almeno a livello pubblico, costantemente dimostrata dal cancelliere Kohl. Rispondendo ad alcune domande della stampa a margine del Forum economico di Davos, dieci giorni dopo l’incontro romano con Prodi, Kohl non esita infatti ad affermare che “se in Europa fossimo tutti tedeschi, non sarebbe simpatico. Il primo della classe non è mai amato. Ma se fossimo tutti italiani, non so dove andremmo a finire” [70] .

Prodi è senza dubbio consapevole della dimensione propagandistica e più finalizzata agli equilibri interni al suo partito e alla sua opinione pubblica di queste parole di Kohl e non a caso più volte ad inizio anno cerca di limitare l’ostilità “anti-tedesca” del suo ministro degli Esteri Dini, ribadendo la sua convinzione: l’Italia verrà giudicata su fatti concreti e oggettivi. Bisogna smettere di pensare che Kohl possa farsi influenzare da emotività e umori di ampi settori dell’opinione pubblica [71] .

Per altro lo stesso Prodi, in un’intervista rilasciata a “Der Spiegel” sul finire del 1997, era stato piuttosto sbrigativo in relazione alle critiche tedesche all’Italia, ricordando che “la Germania dovrebbe considerarsi fortunata, se noi parteciperemo. L’Europa è nata da due grandi culture, quella latina e quella germanica. Se manca una di queste due manca l’Europa” [72] .

Ma c’è anche un fronte interno che impensierisce Prodi. Infatti a partire dal 22 gennaio 1998 si inaugura il progetto di nuovo raggruppamento di centro guidato da Francesco Cossiga che, a metà febbraio, conduce alla nascita dell’UDR. Ad inizio febbraio poi, a Firenze, D’Alema inaugura gli Stati generali della sinistra, che conducono alla trasformazione del PDS nei Democratici di Sinistra.

E infine non si deve nemmeno dimenticare che lo stesso mese di febbraio si era aperto con la sostanziale chiusura di ogni ipotesi di riforma istituzionale, a seguito della rottura berlusconiana sull’ipotesi di legge elettorale a doppio turno (anche se formalmente la chiusura dell’esperienza della Bicamerale D’Alema-Berlusconi si ha nel giugno successivo). Se da un punto di vista generale il sistema mostra evidenti segnali di difficoltà nello strutturarsi in base alle caratteristiche di un moderno bipolarismo di impronta europea, fondato sulla competizione tra liberal-conservatorismo e socialdemocrazia riformista, nello specifico sembrano evidenziare le differenze presenti all’interno dello schieramento uscito vincitore nella primavera del 1996.

È l’idea stessa di Ulivo, concepita da Prodi come anticamera per la nascita di un futuro “Partito Democratico”, che in maniera sempre più evidente si contrappone a quella D’Alema-Marini, i quali dovranno l’Ulivo stesso come coalizione di partiti, fondata sul dualismo PDS-PPI. Anche questa evoluzione, una volta esauritasi la dimensione “propulsiva” rappresentata dalla “rincorsa europea”, contribuirà a rendere complicato il cammino dell’esecutivo guidato da Romano Prodi [73] .

 

Tempo 4 – Un marzo “dolcissimo” e un “maggio radioso”

Se la primavera del 1997 aveva segnato uno dei punti di maggiore difficoltà nella marcia di avvicinarsi alla moneta unica, il marzo 1998 può essere definito “dolcissimo” per il governo Prodi.

Già sul finire del mese di febbraio, Prodi riceve dal suo consigliere speciale Nigido le informazioni relative agli incontri, tutti effettivamente positivi, effettuati dal “gruppo dei quattro” nelle principali capitali europee [74] . E’ di conseguenza un Prodi sereno quello che il 7 marzo scrive a Santer per ringraziarlo del sostegno che nei mesi ha voluto concedere all’Italia (egli insiste molto in questa missiva che il vero attore è l’Italia e il suo governo è stato soltanto un “facilitatore” di un movimento di popolo) e nell’annunciargli che ora “la casa è stata messa in ordine”. Per poi aggiungere che “la cultura della stabilità è divenuta patrimonio comune, è la base su cui fondare la crescita” [75] .

Questa è la parola chiave che domina la seconda parte della lettera di Prodi. “Fatti i compiti” (chiosa a Kohl) è tempo di guardare al futuro. E qui le parole di Prodi sono evocative: “l’impresa comune che prenderà avvio tra meno di due mesi al Consiglio Europeo del 2 maggio prossimo potrà avere successo solo se sarà il motore di crescita e creazione di posti di lavoro”.

Una volta completato il percorso di convergenza e tempo del rilancio degli investimenti. È evidente sia per il tono, sia per la sostanza che le aspettative italiane per un ruolo di primo piano sui temi sino a questo momento trascurati (per volontà tedesca) dell’occupazione e della crescita sono molto alte.

Due giorni dopo, il 9 marzo, Ciampi si reca a Bruxelles per illustrare il nuovo DPEF, che dovrà garantire proprio la sostenibilità del risanamento italiano e ottenere il plauso della Commissione. E di lì a poche settimane, precisamente il 25 marzo, l’Italia è ammessa ufficialmente a far parte del nucleo di 11 Paesi che il 2 maggio sanciranno la nascita della moneta unica [76] .

Quando il 15 aprile 1998 Prodi presenta alla maggioranza e alle parti sociali il DPEF per il 1999 è evidente quanto il messaggio sia oramai spostato sulla dimensione politica interna piuttosto che su quella europea. Non a caso in un appunto che l’economista Paolo Onofri redige per il presidente del Consiglio il 9 aprile precedente, si insiste molto sulla necessità di descrivere l’azione di governo dell’ultimo biennio come finalizzata allo stesso tempo all’interesse del progetto europeo e del Paese.

Altro punto determinante è poi l’insistenza sulla dimensione di prospettiva, a proposito della quale si sottolinea come non dovrà più essere la “riduzione del disavanzo” a guidare l’operato del governo, bensì quella “del rapporto debito/pil, della spesa e della riduzione della pressione fiscale”. Per concludere che “dopo il risanamento, il nuovo obiettivo sarà la modernizzazione del Paese” [77] .

Il 20 aprile Prodi scrive nuovamente a Santer ea tutti i dieci partner impegnati nella costruzione della moneta comune per presentare il già citato DPEF in vista del Consiglio europeo di inizio maggio. Le rassicurazioni maggiori sono dedicate al fatto che la “maggioranza parlamentare ha già garantito” la condivisione e non a caso nella sua risposta Santer si auspica un “rapido via libera del Parlamento” [78] .

La ricerca di un nuovo slancio per il suo esecutivo ei richiami tenuta alla della sua maggioranza sono fattori senza dubbio significativi e che segneranno, come è noto, gli ultimi mesi dell’esperienza politica del governo Prodi [79] .

Nell’immediato però giungono a Prodi i complimenti calorosi di Karl Lamers, il quale il 4 maggio scrive al presidente del Consiglio italiano per complimentarsi del traguardo raggiunto [80] . Ma l’esponente di spicco della CDU, nonché portavoce della politica estera del gruppo parlamentare al Bundestag, non si limita ad un messaggio di cortesia.

Parla di un ottenere tra i due Paesi nel corso dell’ultimo anno, proprio grazie all’operato del governo Prodi e infine fa riferimento esplicitamente alla necessità di un dialogo “trilaterale” che aggiunga cioè all’asse franco-tedesco anche Roma. Una particolarmente “chiamata” a collaborare significativa se si pensa che si tratta dello stesso Lamers (già teorico nel 1994 con Schauble dell’Europa a due velocità) che il I febbraio 1997 aveva dichiarato a “la Repubblica”, in maniera piuttosto sprezzante ed ultimativa:

“L’Italia è la culla della cultura comune europea. Ma questo non significa che non dover rispettare i criteri di convergenza” e ancora: “Il primato della politica? Macché, se l’Italia vuole entrare nell’Unione monetaria sappia che quel che conta sono i numeri!” [81] .

Da notare che Romano Prodi risponde a Lamers soltanto il 29 maggio, in maniera molto cordiale, ribadendo che la partecipazione italiana all’euro si coniuga alla “consapevolezza del nostro ruolo fondamentale nella costruzione dell’Unione Politica e nell’approfondimento e ampliamento delle politiche comuni” [82] .

Conclusione

Colui che si esprime in questo modo, è dunque un presidente del Consiglio che rivendica i risultati ottenuti e prefigura la possibilità di un futuro protagonismo italiano a livello continentale, frutto della credibilità maturata nell’ultimo anno e mezzo di sforzi e sacrifici. Dopo aver mostrato a tutta l’Europa comunitaria l’affidabilità di una classe dirigente di sinistra riformista, si apre una “fase due” che dovrebbe confermare e consolidare tali caratteri di normalità, responsabilità e credibilità politica.

I mesi successivi avrebbero in realtà dimostrato come una parte consistente di questa stessa classe dirigente, una volta archiviata la cosiddetta “occasione dell’Europa” [83] , deciso di rimettere in discussione questo patrimonio acquisito, contribuendo così al rallentamento della complessiva evoluzione del sistema politico italiano [84] .

 

La leggenda

del cambio lira/euro

Secondo indiscrezioni poi definite non vere da Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio durante una cena avrebbe rivendicato il merito di aver salvato l’Italia dal default “preparato da Romano Prodi quando accettò il cambio lira-euro”.

La smentita imporrebbe di cancellare tutto dal verbale; ma l’idea secondo cui il tasso di cambio sbagliato sia una specie di peccato originale per il nostro Paese è diffusa e viene tuttora ripetuta, in rete e non solo. Tipicamente, prendi la forma:

“Sì, è stato giusto entrare nell’euro, ma lo abbiamo fatto alle condizioni sbagliate”. Chi sostiene questa tesi però dovrebbe anche spiegare quale sarebbe stato, a suo avviso, il tasso di cambio corretto. Su questo punto i detrattori sono meno espliciti.

Qualcuno sostiene che sarebbe stato più giusto entrare – diciamo – a 1.500 lire per un euro (invece che 1936,27) . In questo modo, si argomenta, l’effetto sui prezzi sarebbe stato minore. Il nesso con l’esportazione non è del tutto chiaro, mentre è abbastanza evidente che una similitudine super-lira avrebbe completamente spiazzato le imprese italiane esportatrici:

gli altri governi europei ne sarebbero stati ben felici, e dunque non ha senso l’eventuale accusa di aver “accettato” un cambio più favorevole per l’esportazione.

Al contrario, si può argomentare che occorreva puntare i piedi, insistere per strappare una lira ancora più svalutata. Però la storia ci racconta che la trattativa fu condotta in una situazione particolare.

L’Italia era riuscita – contro le previsioni – a qualificarsi per l’ingresso nella moneta unica grazie ad alcune considerazioni geo-economiche della leadership tedesca, agli sforzi fatti per il risanamento ed alla reputazione personale di Carlo Azeglio Ciampi. Chi dice che si poteva ottenere di più, dovrebbe chiedersi se negli anni successivi la credibilità del nostro Paese sia cresciuta o diminuita rispetto a quella fase.

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