Crimini Italiani2

October 11, 2023
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Fino agli anni ’30 l’Italia era uno dei “parenti poveri” delle potenze coloniali europee. Si è concentrato su parte dell’Africa – Eritrea, Somalia, Etiopia, Libia – così come sulle isole del Dodecaneso, senza mai riuscire veramente a sottomettere questi paesi. Quando salì al potere, Benito Mussolini si atteggiò a “nuovo Cesare”. sognando solo di restaurare la grandezza della Roma imperiale, partì nuovamente alla conquista di questi territori. A costo di abusi e crimini di massa.

L’estrema violenza perpetrata contro i libici dai fascisti italiani divenne un modello

per ciò che gli stessi nazisti tedeschi avrebbero fatto sul suolo europeo.

IN MEMORIA DELLE STRAGI ITALIANE IN ETIOPIA

Solo in Etiopia, oltre settecentomila etiopi massacrati, oltre trentamila civili uccisi, quasi tutti civili, buona parte donne, bambini, In 3 Giorni

In gran parte bruciati vivi, impiccati, ammazzati di botte, fucilati davanti alle loro case o in strada

in virtù di una presunta superiorità razziale italiana e della cieca volontà di dominio di Benito Mussolini.

Anche l’Etiopia ha le sue “giornate della memoria”, a ricordo del cosiddetto massacro di Addis Abeba del 19, 20 e 21 febbraio del 1937, una strage commessa durante il periodo dell’occupazione da parte dell’Italia fascista (1935-1941).

Esattamente, tra il 19 e il 21 febbraio del ’37, centinaia di civili italiani, militari del Regio Esercito e squadre fasciste diedero vita a una spietata rappresaglia dopo un attentato commesso dai partigiani etiopi contro il viceré Rodolfo Graziani ed altri ufficiali del suo seguito, gerarchi fascisti negli anni precedenti non aveva esitato a fare della popolazione etiope “carne da macello”, anche riversando – su ordine proprio di Graziani –

Tonnellate e tonnellate di agenti chimici, come le bombe all’iprite vietate dalle convenzioni internazionali.

 

 in 3 giorni

Militari italiani armati di tutto punto e moltissimi civili scesero in strada dando vita a quella che Antonio Dordoni, un testimone, definì “una forsennata caccia al moro”.

“In genere – si legge nel libro dello storico Angelo Del Boca – davano fuoco ai tucul con la benzina e finivano a colpi di bombe a mano quelli che tentavano di sfuggire ai roghi”.

Alle rappresaglie prendevano parte non solo i soldati italiani ma, in un clima di assoluta impunità, anche commercianti, autisti, funzionari e persone comuni che si macchiarono di violenze di ogni tipo. Gli etiopi che malauguratamente portavano addosso anche solo un coltello, venivano uccisi sul posto; in migliaia furono arrestati e torturati senza alcuna ragione, senza nessuna prova a loro carico.

La ritorsione fu particolarmente feroce negli agglomerati di tucul lungo i torrenti Ghenfilè e Ghilifalign, che attraversano Addis Abeba da nord a sud. “Per ogni abissino in vista – scriveva Del Boca – non ci fu scampo in quei terribili tre giorni ad Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano”.

I corpi di migliaia di civili etiopi vennero gettati in fosse comuni: Senza Pietà, senza religione

Ed oggi la Storia che ci dice, che ci racconta?

Secondo un recente sondaggio Eurispes, il 15 % degli Italiani intervistati nega Auschwitz e la Shoah: il dato stupisce e sconforta, ma dovrebbe preoccupare anche la rimozione generale dei crimini coloniali commessi dagli Italiani in Etiopia come in Libia, che non ha quasi traccia nella nostra memoria nazionale. Anche per questo si saluta con favore l’approdo nelle librerie di “Debre Libanos 1937. Il più grande crimine di guerra dell’Italia”, saggio dello storico Paolo Borruso (Laterza, Roma-Bari, 2020). L’episodio ricostruito ci riporta al secolo scorso e alla breve e cruenta stagione del colonialismo italiano in Etiopia: l’uccisione a opera degli occupanti italiani, tra il 21 e il 29 maggio 1937, di circa due migliaia di monaci, diaconi, studenti e fedeli laici etiopi.

USO DEI GAS IPRITE

Nel 1928, tutti i principali Paesi del mondo (con la sola eccezione significativa degli Stati Uniti) firmarono una convenzione per la messa al bando degli aggressivi chimici. Nessuno Stato, però, rinunciò a fabbricarli, Italia compresa. Anzi, l’esercito del nostro Paese fece ampio uso di gas in Libia, tra il 1923 e il 1931, contro i ribelli che si opponevano alla dominazione coloniale italiana.

L’aggressivo chimico più micidiale, negli anni Trenta, era l’iprite (chiamato mustard gaz dagli inglesi). In Italia, la produzione giornaliera di iprite negli anni 1935-1936 passò da 3 a 18 tonnellate al giorno. Nel complesso, durante la guerra, ne sarebbero state rovesciate sugli etiopici circa 300 tonnellate sul fronte settentrionale (cui vanno aggiunti i 30 500 kg utilizzati sul fronte somalo).

I telegrammi Intercorsi, fra Mussolini, Graziani, Badoglio. Danno evidenza della estrema efferratezza, di questa gente occidentale chiamata BRAVA GENTE

Dalla frammentaria documentazione sopravvissuta, risulta che sia stato Graziani (il 12 ottobre 1935) il primo a chiedere l’autorizzazione ad usare tutti i mezzi (compresi gli aggressivi chimici) contro il nemico. Tale autorizzazione gli fu concessa da Mussolini il 27 ottobre. A fine anno, quando Badoglio rilevò De Bono al comando del fronte nord (17 novembre), il nuovo generale si trovò in difficoltà ad arrestare la violenta controffensiva etiopica. Pertanto, prim’ancora di ottenere un formale permesso dal Duce (28 dicembre), Badoglio ordinò l’uso dei gas (20 dicembre). Gli attacchi chimici proseguirono per circa tre mesi (l’ultimo documentato risale al 31 marzo 1936).

L’iprite era gettata sul nemico dall’aviazione. Ad essere colpite erano soprattutto le retrovie, nei loro punti più strategici (strade, villaggi, guadi, accampamenti, corsi d’acqua…). Le bombe più utilizzate erano denominate C.500.T : ciascuna di esse pesava 280 kg e conteneva circa 216 kg di iprite. Ogni bomba irrorava di goccioline di liquido corrosivo (e, quindi, mortale) un’area ellittica di circa 500/800 metri per 100/200 metri. Gli effetti duravano diversi giorni: per questo motivo, l’iprite era usata solo lontano dal fronte, in modo che non potesse colpire soldati italiani. Per la stessa ragione, nessun reparto italiano (con l’ovvia esclusione degli aviatori) ha mai assistito ad un attacco condotto contro il nemico mediate gli aggressivi chimici.

E’ tuttavia con Badoglio che in Eritrea la Invasione Diviene un Massacro

28 novembre 1935. Arriva Badoglio.
Con Badoglio la guerra muta carattere diventando guerra di distruzione.
Verranno colpite le città, gli accampamenti, le strade, gli ospedali. Saranno impiegati per la prima volta i gas asfissianti e l’iprite
.

A dicembre inizia la controffensiva etiopica: le tre armate etiopiche si stanno avvicinando a quelle armate italiane.

4 dicembre. Vengono lanciati 45 quintali di bombe sulle colonne di ras Immirù per rallentarne l’avanzata.

6 dicembre. 76 quintali di esplosivo distruggono la cittadina di Dessiè e le tende della Croce Rossa. Nonostante ciò gli abissini hanno imparato a camuffarsi e disperdersi e a metà dicembre sono a contatto con gli italiani su tutto il fronte.

La sconfitta di Dembeguinà apre a ras Immirù lo Scirè, mentre il ras Cassia invadendo il Tembiem, minaccia Macallè.

Di fronte alla controffensiva locale   Badoglio decide di iniziare la guerra chimica, non solo per fermare l’avanzata delle truppe ma per terrorizzare le popolazioni.

Dal 22 dicembre al 18 gennaio vengono lanciati sul fronte nord duemila quintali di bombe, per una parte rilevante caricate a gas tra cui l’iprite (solfuro di etile biclorurato), che provoca la necrosi del protoplasma cellulare ed è sicuramente mortale.

FRONTE SUD

Contemporaneamente all’avanzata del ras Immirù a nord, Graziani decide di utilizzare in modo massiccio l’aviazione, ottenendo da Mussolini libertà d’azione per l’uso dei gas asfissianti.
Su Neghelli, base di rifornimento per gli etiopi, rovescia 177 quintali di esplosivo e di gas.
Testimonianza di ras Destà all’imperatore: Dal 17 dicembre gli italiani gettano anche bombe a gas, le quali piovono come la grandine… Le lesioni, anche leggere, prodotte da tale gas gonfiano sempre più sino a diventare, per infezioni delle grandi piaghe“.

30 dicembre. Graziani ordina un bombardamento nella zona di Gogorù . Vengono lanciati da tre Caproni 3.134 chilogrammi di esplosivo.
Molte bombe colpiscono le tende e gli automezzi di un ospedale da campo  con i contrassegni della Croce Rossa provocando morti e feriti.
La notizia fa il giro del mondo.

La controffensiva di Graziani inizia il 12 gennaio nella battaglia del Ganale Doria con il lancio di 1.700 chilogrammi di gas asfissianti e vescicanti sulle popolazioni abissine e l’inizio del disfacimento dell’armata etiope; prosegue con la conquista di Neghelli  su cui vengono lanciati ben 1.250 quintali di esplosivo. Le armate del ras Destà, bombardate e irrorate di iprite, verranno annientate nel cosiddetto “vallone della morte”.

FRONTE NORD

La battaglia dell’Endertà.

10 febbraio. Badoglio inizia l’offensiva sull’Amba Aradan durante la quale vengono sparate molte granate caricate con arsine.
Sull’Amba Aradan vengono catturati due europei al servizio del negus, il medico polacco Belau e il suo assistente che verranno torturati perché ritrattino la dichiarazione inviata alla SdN, che denunciavano il bombardamento indiscriminato di Dessiè.

17-18-19 febbraio. Tutti gli aerei disponibili, lasciano cadere in una sola giornata 730 quintali di esplosivo. “I piloti sembravano scatenati. Si era data libertà di volo e di azione chi faceva prima a rifornirsi partiva, era una gara continua … Non c’era bisogno di abbassarsi troppo: ogni spezzone piombava in mezzo a loro seminando la morte.

Era una bella lezione per quelle teste dure” (testimonianza di Vittorio Mussolini in Voli sulle ambe). Il ras Mulughietà viene ucciso mentre le armate del ras Cassa e del ras Sejum sono avvolti nella manovra a tenaglia di Badoglio.

Febbraio/marzo. Seconda battaglia del Tembien. L’aviazione scaricherà 1.950 quintali di esplosivo.

Seminava intanto, sobbalzando agli schianti, il suo carico mortale”. (Pavolini “Corriere della sera “, 3/3/1936.)


2 marzo. Verranno usati per la prima volta i lanciafiamme.

3-4 marzo. Badoglio,  ordina all’aviazione di lanciare 636 quintali di esplosivo e di iprite.

Lo stesso Badoglio racconta che per rendere più completa la distruzione vengono lanciate piccole bombe incendiarie che trasformano in un solo rogo i fianchi boschivi della valle del Tacazzè rendendo tragica la situazione del nemico in fuga.

I piloti che scendono a volo radente per mitragliare i superstiti rilevano notevoli masse nemiche abbattute e grande quantità di uomini donne e bambini e di quadrupedi trasportati dalla corrente.


Badoglio, “Allora non rimane che il mio vecchio progetto. Mettere in azione tutta l’aviazione e cominciare da Addis Abeba a tutti i centri importanti.” Tabula rasa. Sono convinto che in una settimana metteremmo l’Abissinia in ginocchio“.

29 marzo. Mussolini rinnova a Badoglio l’autorizzazione ad usare gas di qualunque specie (tel n.3652). vengono scaricate 35  quintali di esplosivo gasante.

4 aprile. altri 700 quintali sganciati su MAU CEU, molte caricate ad iprite.

Per gli aviatori italiani non era più guerra era un gioco. Quale era il rischio nel mitragliare dei cadaveri e dei morenti i cui occhi erano bruciati dai gas? ( testimonianza di Hailè Selassiè).
Il giornalista Cesco Tomaselli racconta: “Le bombe esplodono nel fitto degli uomini che arrancano curvi, tenendo le mani sulla testa come si fa quando si è colti da una grandinata sui campi.”

Molti moriranno per aver bevuto l’acqua contaminata dai gas tossici del lago dell’Endà Agafarì.
È Hailè Selassiè che racconta l’atroce visione e sottolinea come “sarebbe stato necessario fissare questa immagine per poterla presentare al mondo e distruggere per sempre nel cuore degli uomini i propositi di guerra“.

Ma tutto questo è nulla. Peggio molto peggio, molto più sporco sono gli Strupri le Violenze la Pedofilia imperante. Operate sui Civili Inermi.

Affronteremo questa parte, molto più sporca, nel prossimo post che troverete nel link sotto

Grazie per l’attenzione

CREDITS

– Younes Abouyoub è attualmente visiting fellow presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università del New England nel Maine (Stati Uniti). Ha conseguito un dottorato in sociologia politica e un master in diritto e in geopolitica. Appare spesso nei media e ha lavorato con le Nazioni Unite in Libia dopo la rivoluzione del 2011, così come in diverse zone di conflitto in tutto il mondo. Ha pubblicato numerosi articoli di ricerca e editoriali. Inoltre, ha contribuito a diverse opere, tra cui il capitolo “Una stagione di migrazione verso l’Occidente: la diaspora arabo-musulmana negli Stati Uniti: etica politica e prassi” pubblicato in Nuovi orizzonti della diaspora musulmana in Europa e Nord America (Palgrave MacMillan, New York) nel 2016; “Islam e politica nella Libia contemporanea” in Maghreb-Mashreq (2015 ).

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