Bosnia Documenti Segreti

March 28, 2023
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La scorsa settimana ricorreva l’anniversario dell’intervento Nato nell’ex Jugoslavia (24 marzo 1999), che si può considerare il primo passo di quella guerra mondiale fatta a pezzi denunciata da tempo da papa Francesco, che ora ha il suo focus in Ucraina.

Tante le motivazioni di quell’intervento, ad esempio quella di rilanciare l’immagine della presidenza Clinton, appannata dallo scandalo Lewinsky. Ma il proposito di dar vita a un’intervento Nato nella ex Jugoslavia partiva da lontano, come anche l’idea di colpire la Serbia.

Ultimo residuo dell’ex impero sovietico conficcato nel cuore dell’Occidente, la Serbia era per la Nato una sfida che doveva essere affrontata. Il redde rationem contro Belgrado ha i suoi prodromi nella guerra bosniaca, nella quale, tra il 1992 e il 1995, si confrontarono gli eserciti croati, serbi e bosniaci e che si concluse con l’accordo di Dayton.

Una guerra che, secondo la narrativa ufficiale, era riconducibile all’intenzione di Belgrado di dar vita a una “Grande Serbia”, annettendo parte della Bosnia (la stessa motivazione avrebbe innescato nel ’99 l’intervento Nato, asserendo che la Serbia voleva annettere il Kosovo).

Kit Klaremberg e Tom Seker hanno avuto accesso ai documenti segreti delle forze di pace canadesi presenti in Bosnia nei primi anni ’90, le UNPROFOR, rivelando la faccia nascosta di quel conflitto.

Felipe González, Bill Clinton, Jacques Chirac, Helmut Kohl, John Major e Viktor Chernomyrdin osservano la firma dell’accordo di Dayton da parte di Slobodan Miloševic (Serbia), Franjo Tucman (Croazia) e Alija Izetbegovic (Bosnia Erzegovina).

Quando gli Usa sabotarono la pace

“È un fatto poco noto – scrivono i due cronisti su ZeroHedge – ma alquanto riconosciuto che gli Stati Uniti hanno gettato le basi per la guerra in Bosnia, sabotando l’accordo di pace negoziato dalla Comunità Europea all’inizio del 1992 [Accordo di Lisbona, artefici Lord Carrington e José Cutileiro ndr]”.

“In base all’accordo, la Bosnia sarebbe diventata una confederazione composta da tre regioni autonome divise lungo linee etniche”. Non era perfetto, scrivono i cronisti, ma le parti avrebbero ottenuto quanto poi più o meno stabilito a Dayton e avrebbe evitato la guerra.

“Ma, il 28 marzo 1992, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Jugoslavia Warren Zimmerman incontrò il presidente bosniaco musulmano Alija Izetbegovic per offrire al suo Paese il riconoscimento di Washington come stato indipendente. E promettendo un supporto incondizionato nell’inevitabile guerra successiva, se avesse respinto la proposta della Comunità europea. Alcune ore dopo, Izetbegovic si avviò verso un sentiero di guerra” (Doug Bandow, sul National Interest, aveva già denunciata tale nefasta ingerenza, riportando anche le accuse in tal senso dello stesso Cutileiro).

Tanti analisti spiegano l’ingerenza Usa come un modo per contrastare un piano di pace che avrebbe reso più forte l’Europa grazie al ruolo di mediazione. Ma “i cablogrammi UNPROFOR rivelano che c’era al lavoro un’agenda molto più oscura. Washington voleva che la Jugoslavia fosse ridotta in macerie e progettava di mettere in ginocchio i serbi prolungando la guerra il più a lungo possibile“.

Secondo la versione ufficiale a far saltare l’Accordo di Lisbona furono i serbi, ma “i documenti dell’UNPROFOR chiariscono più volte che non è andata così”, dal momento che l’ostacolo “insormontabile” per gli accordi di pace furono le richieste degli “islamici” (così venivano identificati nei cablo i bosniaci guidati da Izetbegovic).

Altri passaggi dei documenti, poi, rivelano come “le interferenze esterne nel processo di pace” “non hanno aiutato la situazione” e “nessun accordo di pace” può essere raggiunto “se le parti esterne continuano a incoraggiare gli islamici a essere esigenti e inflessibili”. I cronisti chiariscono che tali interferenze venivano da Washington.

“Incoraggiare Izetbegovic a resistere a ulteriori concessioni” e “il chiaro desiderio degli Stati Uniti di revocare l’embargo sulle armi nei confronti dei musulmani [bosniaci ndr] e di bombardare i serbi costituiscono dei seri ostacoli per la fine dei combattimenti”, registrano le forze di pace canadesi il 7 settembre 1993.

Il giorno successivo, le forze canadesi riferiscono che “i serbi sono stati i più conformi al cessate il fuoco”. Mentre Izetbegovic  basava la sua posizione negoziale sulla “‘immagine largamente diffusa dei serbi bosniaci come cattivi“. Consolidare tale falsità ha avuto come esito quello di innescare “gli attacchi aerei della NATO sui territori serbi“.

 

Così su un cablogramma della UNPROFOR: “Non ci saranno colloqui seri a Ginevra finché Izetbegovic crederà che i serbi subiranno attacchi aerei [Nato ndr]. I raid aerei rafforzeranno notevolmente la sua posizione e probabilmente lo renderanno meno collaborativo nei negoziati”.

La Jihad della Nato

Allo stesso tempo, i combattenti islamici “non stavano dando una possibilità ai colloqui di pace”, portando attacchi a tutto campo e “aiutando  Izetbegovic nel raggiungere il suo obiettivo”, annotano i cronisti di ZeroHedege, infatti, per tutto il ’93, le milizie islamiche hanno condotto “innumerevoli incursioni in territorio serbo in tutta la Bosnia, in violazione del cessate il fuoco”.

I cablogrammi dell’UNPROFOR illustrano ampiamente tali azioni, e come gli attacchi serbi, denunciati come attacchi proditori e in violazione al cessate il fuoco, fossero, in realtà, “azioni difensive o in risposta alla provocazioni”.

Infatti, complicare le cose, il fatto che miliziani “islamisti provenienti da tutto il mondo si sono riversati nel paese a partire dalla seconda metà del 1992, dando vita a una jihad contro croati e serbi. Molti di questi avevano già acquisito esperienza nel teatro di guerra afghano”, altri venivano reclutati altrove, inizialmente da turchi e iraniani, con i finanziamenti sauditi, per poi essere gestiti direttamente dall’America, che ne scaricò a migliaia con i suoi Hercules C-130.

“Le stime sul numero dei mujaheddin bosniaci variano notevolmente, ma il loro contributo fondamentale alla guerra è chiaro. Il negoziatore statunitense per i Balcani Richard Holbrooke nel 2001 dichiarò che i bosniaci ‘non sarebbero sopravvissuti’ senza il loro aiuto, e definì il loro ruolo nel conflitto un ‘patto con il diavolo‘ da cui Sarajevo doveva ancora riprendersi”.

Tali miliziani erano usi a creare false flag per incolpare i serbi di atrocità o di aver violato il cessate il fuoco. Così su un cablogramma dell’UNPROFOR: “Le milizie islamiche non disdegnano di sparare contro la loro stessa gente o contro obiettivi delle Nazioni Unite per poi dare la colpa ai serbi in modo da attrarre ulteriore simpatia presso l’opinione pubblica occidentale. Spesso posizionano la loro artiglieria in prossimità di edifici delle Nazioni Unite e aree sensibili come gli ospedali nella speranza che i serbi, rispondendo al fuoco, colpiscano tali siti sotto gli occhi dei media internazionali”.

In un altro cablogramma si ipotizzava che tali milizie avrebbero colpito l’aeroporto di Sarajevo, dove atterravano gli aiuti umanitari, perché i serbi sarebbero stati indicati come “ovvi” responsabili dell’attacco.

Così un altro cablo: “Sappiamo che in passato i musulmani hanno sparato sui loro stessi civili e sull’aeroporto per attirare l’attenzione dei media”. E un successivo: “Le forze islamiche al di fuori di Sarajevo, in passato, hanno piazzato esplosivi ad alto potenziale presso le loro stesse posizioni per poi farli esplodere sotto gli occhi dei media e accusare i serbi di averli bombardati”.

La #KFOR (Forze NATO In Kosovo, con la presenza Italiana) è complice di crimini orrendi e violazione dei diritti umani in #Kosovo Consegnando segretamente i suoi centri di detenzione alla #CIA che li usava per op. di detenzione illegale, deportazione e pratiche di tortura come Guantanamo.
Durante la sua avventura balcanica, la CIA ha fatto un uso generoso di reti di narcotrafficanti per armare l’#UCK Ribelle e fornire loro Armi Soldi e Passaporti.

SCANDALO: Bondstyle costruito sui campi dei serbi espulsi dal Kosovo

La base militare americana “Bondsteel” in Kosovo è stata costruita su duemila e mezzo ettari di campi che appartenevano ai serbi espulsi che, anche dopo 14 anni, non riescono a recuperare la loro terra.

La più grande base militare americana costruita dopo la guerra del Vietnam, ” Bondstil ” in Kosovo e Metohija , si trova nel villaggio di Sojevo vicino a Uroševac , al sesto chilometro della strada per Gnjilan.

 

Il territorio di “Bondstil” è stato occupato subito dopo l’entrata dell’esercito americano in Kosovo nel giugno 1999. I serbi, che hanno la documentazione completa che attestano che sono proprietari di proprietà e hanno atti di proprietà sulla loro terra, hanno immediatamente informato le Nazioni Unite, l’UNMIK, il L’ambasciata americana a Belgrado e Pristina, il governo serbo e altre autorità competenti hanno trasformato la loro terra, un tempo fertile, in un deserto, sul quale sono state costruite strutture militari americane, e alla maggior parte di esse non è stato pagato alcun risarcimento .

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