Biden Family

February 26, 2023
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Joe Biden si è sposato due volte e ha avuto quattro figli.

  • Neilia Hunter Biden (nata Hunter), sposò Joe Biden nel 1966. Nel dicembre 1972, mentre Joe Biden era il senatore eletto, Neilia e sua figlia morirono in un incidente stradale; i suoi due figli sono rimasti feriti.[1]
  • Beau Biden (Joseph R. Biden III) (1969-2015),[2] Procuratore generale del Delaware e figlio di Joe Biden. È morto di cancro al cervello nel maggio 2015.[3]
    Due bambini: Natalie Naomi e Hunter.
  • Hunter Biden (Robert Hunter Biden), ex manager e figlio di Joe Biden.[4]
    Ha tre figlie con la sua prima moglie Kathleen: Naomi, Finnegan e Maisy.
  • Hunter è il padre biologico e legale di un quarto figlio, identificato nei documenti del tribunale come NJR, con Lunden Roberts.[5]
    Ha sposato la sua seconda moglie, Melissa Cohen Biden, nel 2019.[6]
  • Naomi Christina Biden (1971–1972), soprannominata “Amy”; morì nello stesso incidente di sua madre Neilia.
    La dottoressa Jill Biden, attuale first lady ed ex second lady degli Stati Uniti; educatrice; e la seconda moglie di Joe Biden, sposata nel 1977

Biden Percorso Professionale


Joseph Robinette Biden Jr., detto Joe  è un politico statunitense, 46º presidente degli Stati Uniti d’America dal 20 gennaio 2021.

Esponente dell’area moderata del Partito Democratico, prima di intraprendere l’attività politica ha conseguito il titolo di Juris Doctor e ha esercitato la professione di avvocato, prestando la propria opera come difensore d’ufficio.

Nel 1972, a 29 anni di età, fu eletto per la prima volta senatore federale in rappresentanza del Delaware, diventando così il sesto componente più giovane della camera alta nella storia degli Stati Uniti.

In seguito fu riconfermato per ulteriori sei mandati consecutivi, nel corso dei quali si occupò perlopiù di politica estera e di giustizia:

Biden ricoprì ininterrottamente la carica fino al 2009, anno in cui si dimise per assumere le funzioni di vicepresidente sotto l’amministrazione di Barack Obama. Nel 2017 fu insignito della medaglia presidenziale della libertà con lode, massima onorificenza civile del Paese.

In politica estera ha riaffermato l’impegno americano nei confronti della NATO come mezzo per contenere la crescente influenza di Cina e Russia e,

nell’aprile 2021, ha annunciato il ritiro completo delle truppe statunitensi dall’Afghanistan entro settembre, ritiro poi completato il 31 agosto del 2021.

Biden Problematiche

Nel 1988 si è candidato alle primarie presidenziali democratiche, ma nelle consultazioni venne sconfitto da Michael Dukakis

Nel 2004 è tentato dal candidarsi nuovamente alle primarie, ma alla fine ha rinunciato.

Il 7 gennaio 2007 ha dichiarato in un’intervista televisiva di volersi presentare alle primarie del 2008 e il 30 gennaio è stato ufficialmente iscritto nell’elenco dei candidati.

Il 4 gennaio 2008, al termine del caucus dell’Iowa (primo test elettorale delle primarie) ha annunciato di volersi ritirare dalla competizione a causa dello scarso risultato ottenuto (0,93%), ma il 22 agosto Barack Obama, il candidato alle elezioni presidenziali del 2008 per il Partito Democratico,

Il 4 novembre 2008 la coppia Obama-Biden ha vinto le elezioni presidenziali, sconfiggendo il ticket repubblicano composto dal senatore John McCain e dalla governatrice dell’Alaska Sarah Palin.

Prime Problematiche Politiche

Tra politica interna e crisi internazionali, bilancio a un anno dall’insediamento alla Casa Bianca

Cosa rimane della cerimonia pubblica di insediamento del 46° presidente degli Stati Uniti del 20 gennaio 2021?

“America United” e “Our Determined Democracy: Forging a More Perfect Union” i temi al centro dell’inaugurazione, ma sono stati rispettati? A giudicare dagli ultimi mesi di “roller coaster” Joe Biden, 46° presidente degli Stati Uniti, sta vivendo ormai da tempo un periodo difficile dentro e fuori i confini della ricca nazione a “stelle e strisce”.

A livello nazionale non hanno pienamente convinto le politiche di stabilizzazione ai confini con il Messico e il pacchetto di incentivi promessi, così tempestivo all’epoca, sembra adesso aver sovrastimolato l’economia, portando alla peggiore inflazione dagli anni ‘70.

Inoltre il carcere di Guantanamo è rimasto aperto.

 

 

Tornando alla politica interna 

colpisce come in realtà l’economia statunitense sia comunque cresciuta negli ultimi mesi portando il “pil reale” a un tasso annualizzato del 7,8 per cento, secondo The New York Review of Books.

Il tasso di disoccupazione è sceso al 3,9 per cento in undici mesi (partiva dal 6,3 per cento): di fatto sono stati creati 6,1 milioni di posti di lavoro, circa 4 in più rispetto alle presidenze Trump e dei Bush (padre e figlio) messe insieme. Dati incontrovertibili che non scalfiscono l’idea che l’opinione pubblica ha definito da tempo del governo attuale.

Da circa sei mesi l’indice di popolarità di Biden è passato da positivo a negativo e non è più salito, in coincidenza con il ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Intanto la pandemia ha continuato il suo corso provocando difficoltà nelle forniture e una spirale inflazionistica, dicevamo, che non accenna a diminuire, oltre ai gravi disagi nelle scuole e nel settore turistico.

Questo, e non solo, ha fatto crollare la popolarità di Biden di colpo, dal 52 per cento dell’opinione pubblica contenta del suo operato si è passati al 41 per cento. Per intenderci, e “giocare” con numeri e percentuali, Biden rispetto i predecessori è quello che ha perso più rapidamente la fiducia della maggioranza degli americani.

Tra “ritiri caotici” e messaggi contradditori diffusi sull’uso delle mascherine l’amministrazione democratica ha visto depauperare il proprio gradimento.

Negli Stati Uniti è sempre più chiaro come l’identificazione con uno dei due principali partiti è legata alla volontà o meno di vaccinarsi. Numerosi elettori repubblicani rifiutano il vaccino in nome della “libertà” (!).

 

Dall’agosto del 2011 i media tradizionali hanno criticato Biden più di quanto avevano fatto con Trump, lo dimostra un bel sondaggio realizzato dal Washington Post a dicembre del 2021.

E la politica estera? Qui il discorso è molto più ampio e riguarda il ruolo che la nuova amministrazione Biden ha deciso di ritagliare per gli Stati Uniti nei complessi scenari internazionali. Ruolo spesso in contraddizione con proclami o annunci tardivi, ma andiamo con ordine. 

La consapevolezza dell’importanza della sfida con la Cina si è intervallata alla volontà di mantenere una presenza in tutte le regioni del mondo.

Eppure Biden vanta di gran lunga una densa esperienza in politica estera (è stato senatore e vice presidente) stupisce come finora abbia ottenuto così pochi successi. Certo la decisione di rinnovare il New start è stata provvida, ma gli esiti di quasi tutte le altre iniziative sono stati più discutibili.

Del ritiro dall’Afghanistan abbiamo già scritto, poi c’è stato l’accordo con l’Australia e il Regno Unito – il patto di sicurezza Aukus – in cui gli Stati Uniti hanno facilitato la vendita di sottomarini britannici a propulsione nucleare a Canberra.

Anche su altri temi la Casa Bianca ha dato la sensazione di essere incerta, Biden ha dichiarato più volte di voler ridurre l’impegno in Medio Oriente ma poi non ha ridotto il numero dei soldati, in Siria la missione rimane confusa e mille soldati sono ancora presenti in una zona di conflitto attivo.

In campagna elettorale Biden aveva promesso di riportare gli USA nell’accordo sul nucleare iraniano, ma il ritardo conseguente ha impedito di riaprire un dialogo prima delle elezioni iraniane, vinte poi dai sostenitori della lina dura (!).

E poi c’è la politica per contenere la Cina, Obama aveva inserito la Trans-pacific partnership Tpp al centro della sua politica nella regione. Tpp poi caduta vittima dei gruppi di pressione sia a destra sia a sinistra, inoltre l’amministrazione democratica dovrà definire la sua posizione sull’annosa questione dell’autonomia strategica dell’Europa,

oggi più che mai con una crisi ad est pronta a deflagrare da un momento all’altro. 

 

In attesa della prossima mossa parafrasando Henry Kissinger: “Quando è in atto una crisi, la passività non fa che accrescere l’impotenza: alla fine ci si trova costretti ad agire proprio sui problemi e nelle condizioni di gran lunga meno favorevoli”. 

 

BIDEN ROMANIA

 

UCRAINA ERRORI STORICI

Si aggravano i sospetti di conflitto di interessi su Joe Biden a causa degli opachi affari di suo figlio Hunter. Affari in cui l’attuale presidente americano ha sempre detto di non essere mai stato coinvolto: una versione, questa, che tuttavia fa acqua.

E non certo da oggi. Nell’ottobre del 2020, il New York Post pubblicò infatti una email, risalente all’aprile 2015,

in cui un alto dirigente della controversa società energetica ucraina Burisma ringraziava Hunter per avergli organizzato un incontro a Washington col padre (che all’epoca era vicepresidente in carica degli Stati Uniti).

Ricordiamo che Hunter era entrato nelle alte sfere di Burisma nell’aprile del 2014, nelle stesse settimane cioè in cui il genitore riceveva le deleghe da Barack Obama, per occuparsi della politica ucraina. Adesso, nuove rivelazioni mostrano ulteriori evidenze del coinvolgimento di Joe Biden negli affari del figlio.

Contrordine: quella del laptop di Hunter Biden non era una fake news

La reazione allo scoop del New York Post fu durissima.

Oltre 50 ex funzionari dell’intelligence statunitense firmarono una lettera, in cui si sosteneva che la rivelazione aveva “tutti i classici segni di un’operazione di informazione russa”. “

Se abbiamo ragione”, scrissero, “questa è la Russia che cerca di influenzare il modo in cui gli americani votano in queste elezioni, e crediamo fermamente che gli americani debbano esserne consapevoli”.

La tesi che si trattasse di disinformazione russa fu sostanzialmente rilanciata da varie testate, tra cui lo stesso New York Times. (CHE PERO’ NEl GIUGNO 2024 SI RIMANGIA TUTTO)

Non solo: in quei giorni febbrili, i big della Silicon Valley si adoperarono per censurare lo scoop del New York Post. Twitter e Facebook ne impedirono infatti la condivisione, sostenendo che le informazioni presenti nello scoop non risultassero verificate.

Peccato però che, nel 2017, non si sognarono minimamente di bloccare la diffusione delle notizie relative al cosiddetto Dossier di Steele: un documento che costituì uno dei capisaldi dell’impianto accusatorio del Russiagate.

Un documento, i cui contenuti non erano verificati e che si rivelò per giunta nel tempo poco più che una montatura.

Adesso però il New York Times è tornato sui suoi passi. “Persone che hanno familiarità con l’indagine hanno detto che i pubblici ministeri avevano esaminato le e-mail tra il signor Biden, il signor Archer e altri su Burisma e altre attività commerciali all’estero”, ha scritto il quotidiano della Grande Mela la settimana scorsa.

“Quelle email sono state ottenute dal New York Times da una cache di file che sembra provenire da un laptop abbandonato dal signor Biden in un’officina di riparazioni del Delaware.

L’email e le altre nella cache sono state autenticate da persone che hanno familiarità con loro e con l’indagine”, ha proseguito.

E’ in tal senso che l’ex presidente americano, Donald Trump, è andato all’attacco. “Il New York Times ha appena ammesso di aver partecipato a un tentativo di truccare le elezioni per Joe Biden”, ha tuonato in un comunicato stampa. Se i repubblicani (a partire dal senatore Ron Johnson) sono sul piede di guerra, i democratici riescono difficilmente a mascherare l’imbarazzo.

E’ per esempio il caso della portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. Costei aveva ai tempi bollato la storia del laptop come “disinformazione russa”.

Ebbene, appositamente interpellata da alcuni giornalisti sulla questione pochi giorni fa, la diretta interessata ha glissato, limitandosi a dire che Hunter Biden non lavora per il governo degli Stati Uniti.

Resta tuttavia il fatto che la vicenda del New York Post ha evidenziato un enorme problema di indebita collusione tra politica, grande stampa e big del web: una collusione verificatasi tra l’altro in un periodo delicatissimo come quello di una campagna elettorale.

Registri dei visitatori alla mano, Fox News ha infatti recentemente riportato che uno dei più stretti soci di Hunter, Eric Schwerin, è stato ricevuto alla Casa Bianca ben 27 volte durante gli otto anni della presidenza Obama (in cui, rammentiamolo, Joe ricopriva la carica di vicepresidente).

In particolare, Schwerin ebbe un incontro con lo stesso Joe Biden nella West Wing il 17 novembre del 2010, oltre a numerosi meeting con stretti collaboratori ufficiali dell’allora numero due della Casa Bianca.

Ecco alcuni esempi: il 20 maggio 2013 incontrò l’assistente di Joe BidenKathy Chung; il 28 marzo 2013 fu la volta del Director of Administration dell’allora vicepresidente, Faisal Amin; era invece il 13 febbraio 2010 quando Schwerin ebbe un meeting con Meg Campbell, assistente dell’allora second ladyJill Biden.

Va sottolineato in particolare un incontro tra lo stesso Schwerin e un’altra assistente di Joe BidenEvan Ryan, il 28 ottobre 2009: quella stessa Evan Ryan che, moglie dell’attuale segretario di Stato Tony Blinken, ricopre al momento il ruolo di segretario di gabinetto della Casa Bianca.

E non è finita qui: Fox News ha riferito infatti che, tra i vari incontri di Schwerin, se ne annoverano ben tre con Anne Marie Person nell’arco del 2016: costei aveva lavorato in Rosemont Seneca, società co-fondata da Hunter nel giugno 2009, fin quando nel 2014 non venne assunta nello staff di Joe Biden.

Interessante notare che tutti e tre gli incontri avvennero nell’ufficio dell’allora vicepresidente, collocato all’interno della West Wing.

Il che pone una domanda scontata: Joe era presente?

Come che sia, la stretta vicinanza di Schwerin ad Hunter è testimoniata da numerosi fattori: costui era infatti il presidente proprio di Rosemont Seneca e fu lui, in un’email del 2017,

a dire al figlio di Biden che non aveva dichiarato al fisco 400.000 dollari fatturati con Burisma nel 2014. 

Schwerin si attivò inoltre, sempre nel 2017, per far avere una lettera di presentazione, scritta da Joe Biden, al figlio di Jonathan Li, che stava cercando di essere ammesso alla Brown University. Businessman cinese, JonathanLi era il Ceo di Bhr, società d’investimento co-fondata da Hunter e controllata da Bank of China.

Ricordiamo, tra l’altro, che Hunter ottenne dalle autorità di Shanghai la licenza per costituire definitivamente Bhr appena pochi giorni dopo aver accompagnato suo padre in una visita ufficiale in Cina nel dicembre del 2013.

Alla luce di tutto questo, qualche domanda sorge spontanea. Per quale ragione Schwerin ha avuto un così alto numero di incontri con membri dello staff di Joe Biden, mentre costui era vicepresidente degli Stati Uniti?

Per quale ragione, in particolare, incontrò lo stesso Biden nel 2010?

È normale che esistessero delle porte girevoli tra Rosemont Seneca e lo staff dell’allora numero due della Casa Bianca? Interpellata di recente sulle numerose (e strane) visite di Schwerin, l’attuale portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha fondamentalmente glissato, dichiarando:

“Non ho alcuna informazione in merito. Sarò felice di controllare e vedere se abbiamo altri commenti”. Risposta un po’ strana, visto che proprio lei, a gennaio 2021, disse che, con l’amministrazione Biden, “trasparenza e verità” sarebbero tornate.

 

BIDEN FIGLIO HUNTER

Ma uno dei problemi più grossi Biden li ha costantamente con il Figlio Hunter

 Nella storia dei quarantasei presidenti americani ben due sono stati figli di precedenti inquilini della Casa Bianca: John Quincy Adams, sesto presidente, figlio del secondo presidente e padre fondatore della repubblica, John Adams, e poi, in tempi più recenti, George W. Bush, figlio di George H. W. Bush

Ma Hunter Biden, figlio del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, crea problemi anche più grossi.

Il cerchio si stringe attorno alla famiglia Biden? Sembrerebbe di sì, almeno stando ai documenti bancari pubblicati mercoledì dal presidente della commissione Sorveglianza della Camera, il repubblicano James Comer.

“I membri della famiglia Biden e i soci in affari hanno creato una rete di oltre venti società, la maggior parte erano società a responsabilità limitata formate dopo che Joe Biden è diventato vicepresidente”, si legge in una nota.

“I registri bancari mostrano che la famiglia Biden, i suoi soci in affari e le loro società hanno ricevuto oltre dieci milioni di dollari da cittadini stranieri e dalle loro società collegate”, prosegue il comunicato di Comer.

“Cittadini e società cinesi con legami significativi con l’intelligence cinese e il Partito comunista cinese hanno nascosto la fonte dei fondi versati ai Biden stratificando società a responsabilità limitata nazionali”.

“Inoltre”, si legge ancora, “Hunter Biden ha ricevuto denaro direttamente sul conto della sua azienda da un’entità controllata dalla Cina”. Non solo. Secondo documenti bancari recentemente ottenuti, vari membri della famiglia Biden hanno indirettamente ricevuto oltre un milione di dollari dal magnate rumeno, accusato di corruzione, Gabriel Popoviciu.

In particolare, il trasferimento indiretto di denaro è avvenuto tra il 2015 e il 2017, quando cioè Joe Biden era ancora vicepresidente in carica degli Stati Uniti. Tra l’altro, nel 2014 e nel 2015, proprio Biden tenne discorsi in Romania, incontrandone anche dei leader.

E non è finita qui. I deputati repubblicani della commissione Giustizia della Camera hanno pubblicato mercoledì un nuovo rapporto investigativo, dedicato alla lettera mendace dei 51 ex funzionari di intelligence che, nell’ottobre 2020, screditò uno scoop del New York Post potenzialmente compromettente per Joe e Hunter Biden, definendolo “disinformazione russa”.

Un’accusa poi rivelatasi fasulla, visto che la Russia non c’entrava nulla e i contenuti dell’articolo risultarono fondati. Ebbene, secondo il nuovo rapporto, quella lettera nacque di fatto da un’imbeccata dell’attuale segretario di Stato americano, Tony Blinken, che all’epoca era senior advisor del comitato elettorale di Biden.

Tuttavia l’aspetto più inquietante del documento riguarda il probabile coinvolgimento della Cia nella stesura di quella lettera. “Le commissioni parlamentari hanno prove che un dipendente affiliato alla Cia potrebbe aver contribuito a ottenere i firmatari per la lettera”, si legge a pagina 2 del rapporto.

“Un firmatario della lettera, l’ex analista della Cia David Cariens, ha rivelato alle commissioni che un dipendente della Cia affiliato al Prepublication Classification Review Board dell’agenzia lo ha informato dell’esistenza della lettera e gli ha chiesto se l’avrebbe firmata.

Le commissioni hanno richiesto materiale aggiuntivo alla Cia, che finora ha ignorato la richiesta”, prosegue il rapporto.

In tutto questo, la procura federale del Delaware starebbe ormai per decidere se incriminare o meno Hunter Biden per reati fiscali:

un’eventualità a cui la Casa Bianca si sta preparando da giorni. Insomma, per la famiglia del presidente le cose non si stanno mettendo bene. E la questione rischia di avere delle serie ripercussioni sulla sua campagna in vista delle elezioni del 2024.

E’ soprattutto il nodo dei soldi stranieri ai suoi famigliari che potrebbe rivelarsi assai problematico per l’attuale inquilino della Casa Bianca.

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JPMorgan Chase ha presentato questo rapporto di attività sospetta su Hunter Biden, suggerendo il suo potenziale coinvolgimento nel “traffico di esseri umani”.

Sei banche, tra cui Bank of America, US Bank e Wells Fargo, hanno presentato oltre 170 segnalazioni di attività sospette al Dipartimento del Tesoro riguardanti la famiglia Biden,

sostenendo il loro coinvolgimento nel riciclaggio di denaro, traffico di esseri umani e frode fiscale, secondo gli investigatori del Congresso

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In una lettera al segretario del Dipartimento del Tesoro Janet Yellen, il membro della classifica Comer richiede tutte le segnalazioni di attività sospette generate in relazione a Hunter e James Biden,

ai loro associati e alle loro attività e richiede tutti i documenti e le comunicazioni relative alla decisione dell’amministrazione Biden di limitare il Congresso ‘accesso alle segnalazioni di attività sospette.

“Recentemente sono emerse notizie preoccupanti secondo cui numerose transazioni commerciali internazionali legate a Hunter e James Biden, il fratello del presidente, sono state segnalate al Financial Crimes Enforcement Network (FinCEN) attraverso Suspicious Activity Reports (SAR).

 Allo stesso tempo, l’amministrazione Biden sta limitando l’accesso del Congresso alle SAR. Questa inversione di una politica di lunga data solleva seri interrogativi sulle motivazioni dietro il cambiamento, incluso se sia inteso a proteggere Hunter Biden”, 

ha scritto il membro della classifica Comer al segretario Yellen. “Più di 150 transazioni commerciali internazionali legate a Hunter o James Biden sono state segnalate dalle banche statunitensi nelle SAR depositate presso il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. 

L’enorme numero di transazioni segnalate in questo caso è altamente insolito e potrebbe essere indicativo di una grave attività criminale o di una minaccia alla sicurezza nazionale. Siamo particolarmente preoccupati laddove tali transazioni possano comportare affari con aziende o entità, comprese quelle con legami diretti con governi stranieri, ostili agli interessi degli Stati Uniti”.

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