Le Combattenti Curde

December 13, 2024
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Le combattenti Curde che lottano per la libertà del paese

Nel Rojava, enclave curda nel Nord Est della Siria, vivono libere e uguali agli uomini. Ma ora che l’autonomia della regione è a rischio, sono in prima linea per difendere la loro rivoluzione. E per garantire un futuro ai figli.

A caro prezzo

Una TRAGEDIA DIMENTICATA è certamente quella del popolo Curdo.

Immersa nel caos mediorientale, la vicenda curda viene spesso relegata ai margini della narrazione geopolitica della regione.

Divisi tra Iraq, Iran, Siria e Turchia, i curdi sono spesso definiti come la più grande nazione priva di uno Stato indipendente:

più di 40 milioni di persone condividono una lingua, una cultura ed una coscienza storica senza però possedere il lusso di costruire le proprie istituzioni all’interno di uno Stato unitario.

L’entità della minoranza curda rappresenta anche una fonte inestinguibile di tensione con gli Stati che la comprendono e la Turchia non fa eccezione.

Le politiche etniche turche fondate sull’egemonia della maggioranza turca, individuano nella presenza curda una forza disgregatrice da assimilare o escludere, gettando nel baratro la possibilità di un Kurdistan turco pacifico.

L’aggressività del governo turco nei confronti della minoranza curda è in gran parte motivata dal timore delle sue dimensioni: i curdi rappresentano infatti un quinto della popolazione turca, composta da 84 milioni di persone nel 2022, e la minoranza di etnia non turca più consistente in Turchia. La potenziale forza politica curda unita è stata riconosciuta come una forza destabilizzante per il governo di Ankara a partire dalla sua istituzionalizzazione moderna nel 1923 con il Trattato di Losanna. Il potere centrale turco ha da subito tentato di disinnescare le pulsioni centrifughe tramite un’assimilazione imposta delle comunità curde presenti sul territorio nazionale. La tensione irrisolta e la disperazione della popolazione curda si riversa nella violenza: con la fondazione nel 1978 del Partito Curdo dei Lavoratori (PKK),

iN QUESTA TRAGEDIA Le donne curde sono state da sempre protagoniste:  sono partigiane dell’umanità e non si arrendono davanti a nulla con il loro celebre motto: ”combatteremo fino alla pace”. Spesso si arruolano adolescenti e diventano maggiorenni sul fronte, lo fanno con il consenso della loro famiglia oppure contro il loro volere

Le donne curde che combattono contro Isis non sono solo le fotografie di ragazze, belle e fiere in tuta mimetica, che in questi mesi circolano su Twitter e Facebook. Dietro quelle divise e quegli occhi ci sono delle storie, delle vite.

E soprattutto c’è la scelta di arruolarsi e combattere in prima linea. Loro sono entrate nell’YPJ, unità di difesa delle donne, parte integrante dell’YPG, l’unità di difesa del popolo. Nelle milizie curde donne e uomini sono alla pari.

E le prime non prendono ordini dai secondi, bensì hanno uguali diritti e doveri. La vita al fronte tuttavia è tutt’altro che facile.

Nell’YPG sono scoraggiate le relazioni. Certo, ci sono alcuni casi in cui due soldati si innamorano e si sposano, ma la regola è quella di non avere rapporti. Uomini e donne, per usare le parole dei comandanti, hanno piuttosto un rapporto di fratellanza. E non solo. L’indipendenza dell’unità femminile si traduce anche nella presenza delle guerrigliere all’interno del processo decisionale tattico e militare, il che ha ovviamente un impatto sull’andamento della guerra.

Al contrario in occidente, Piuttosto che riconoscere il loro impegno e i loro contributi, i media e le riviste si appropriano della loro estetica per scopi commerciali, impegnandosi in servizi fotografici che si concentrano specificamente sulla loro bellezza fisica.

La selezione di soggetti visivamente attraenti per le interviste e l’uso di un linguaggio come “esotico” oggettifica e feticizza queste donne, soddisfacendo i canoni di bellezza occidentali e riducendole a oggetti di fantasia.

Questa rappresentazione umiliante mina l’impegno e l’autonomia delle donne curde, contraddicendo l’etica femminista del loro movimento.

Che la loro Resistenza sia feticizzata o demonizzata, una cosa è chiara: alle donne in Medio Oriente, dal Kurdistan alla Palestina, è negato il diritto di essere agenti della propria causa.

Invece, sono costrette a narrazioni che servono i programmi imperialisti occidentali. In Palestina, questo significa giustificare la violenza contro le donne palestinesi e proteggere Israele dalle critiche.

Ma il coraggio, quello vero, si mostra sul campo ed è tutto delle donne come Ozlem Tamrikulu, componente della  Commissione degli Affari Esteri del KNK (Congresso Nazionale del Kurdistan) e Presidente di UIKI Onlus (Ufficio di informazione sul Kurdistan in Italia).

«Sono 40 anni che le donne hanno un ruolo nel movimento curdo ma la nostra resistenza è stata riconosciuta soltanto negli ultimi tempi, quando il nostro nemico si è dimostrato molto ferocemente. Sono le donne che cambiano la società. Abbiamo dovuto prendere le armi per proteggere la cultura, serviva una protezione militare e noi non ci siamo tirate indietro»

Da quando, il 9 ottobre 2021, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha lanciato l’operazione Fonte di Pace, nessun curdo dorme sonni tranquilli. Men che meno le donne. «Alcune di noi sono morte in combattimento. I miliziani jihadisti del Free Syrian Army alleati di Erdogan non vedono l’ora di sottometterci». Dice Raj, giovanissima comandante di incursori Curdi. Che racconta di colleghe giovanissime terribili di combattenti curde catturate, trascinate per i capelli e violentate dai soldati turchi o dai miliziani siriani prima di essere finite con un colpo alla nuca.

Roj, 20 anni, comandante di un battaglione Ypj (Unità femminili di protezione popolare), è già stata in prima linea. Il suo futuro? «Penserò a una famiglia a guerra finita» (foto di Eugenio Grosso).

La settimana prima Hevrin Khalaf, segretaria generale del partito Futuro siriano e una delle più note attiviste per i diritti delle donne nella regione che si batteva per la coesistenza pacifica fra curdi, cristiano-siriaci e arabi, è caduta in un’imboscata.

Il fuoristrada Toyota che la trasportava è stato fermato sull’autostrada tra Manbij e Qamishlo da un gruppo di uomini armati. Hevrin è stata fatta scendere dall’auto. Il suo corpo l’hanno ritrovato lì, sul bordo della strada, crivellato di colpi.

Vendette, regolamenti di conti. Nel mirino ci sono le donne che non accettano di sentirsi dire che valgono di meno un uomo. «A uccidere Hevrin è stato sicuramente l’Isis, lo sanno tutti».

La libertà delle donne, la libertà di un Paese

Al cimitero di Delil Saroxan, dove vengono sepolti i caduti, le donne arrivano per prime. Sehid namirin, i martiri non muoiono. I cori squarciano le nuvole cariche di pioggia sulle tombe e sulla terra smossa.

Gli sguardi sono fieri. Le lacrime sono riservate solo alle mogli, alle sorelle e alle madri. Ma nemmeno loro piangono. Oggi si seppelliscono tre uomini. Sivan, Tolhildan e Cudi sono stati uccisi nella battaglia di Sere Kanye (Ras al Ayn in arabo), una delle cittadine in cui hanno avuto luogo gli scontri più cruenti.

Le bare entrano portate a spalla attraverso due ali di folla. I bambini si aggrappano alle casse, toccano le foto dei padri in divisa. La bocca è spalancata in un urlo che fatica a uscire.

Ci sarà mai pace poer queste donne??… Fino a quando continuiamo a giocare a Burraco certamente MAI.

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