ETIOPIA1

February 15, 2025
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Massacri italiani in Etiopia e coscienza storica

La  guerra d’Etiopia  (nota anche come  campagna d’Etiopia ) fu un conflitto armato che si svolse tra il  3 ottobre  1935  e il  5 maggio  1936  e vide contrapposti il  ​​Regno d’Italia  e l’ Impero d’Etiopia .

Condotte inizialmente dal generale  Emilio De Bono , rimpiazzato poi dal  maresciallo  Pietro Badoglio , le forze italiane invasero l’Etiopia a partire dalla  colonia eritrea  a nord, mentre un fronte secondario fu aperto a sud-est dalle forze del generale  Rodolfo Graziani  dislocate nella  Somalia italiana .

Nonostante una dura resistenza, le forze etiopi furono soverchiate dalla superiorità numerica e tecnologica degli italiani e il conflitto si concluse con  l’ingresso delle forze di Badoglio nella capitale Addis Abeba .

«La guerra d’Etiopia non è stata soltanto la più grande campagna coloniale della Storia contemporanea, ma anche, probabilmente, la miccia che ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale. Mussolini cominciò a prepararla sin dal 1925 e volle che fosse una guerra rapida, micidiale assolutamente distruttiva.

Per questa ragione mandò in Africa orientale mezzo milione di uomini armati alla perfezione, tanti aeroplani da oscurare il cielo, carri armati e cannoni in numero tale da sguarnire le riserve della madrepatria. E per essere sicuro della vittoria, autorizzò anche l’uso di un’arma proibita, l’arma chimica. La gasificazione con bome delle popolazioni, per la prima volta nella storia

La popolazione imprigionata, in prevalenza di origine nomade o seminomade, venne sottoposta a violenze e condizioni di vita durissime, che provocarono la morte di decine di migliaia di persone.

Circa 100.000 individui, in prevalenza donne, bambini e anziani, furono costretti a una  marcia forzata  di oltre 1000 chilometri nel deserto verso una serie di campi di concentrazione costruiti nei pressi di Bengasi.

Chi non riusciva a tenere il passo era fucilato sul posto; molti, in particolare donne e bambini, furono abbandonati nel deserto, altri ancora perirono per fustigazioni, fame o fatica.

Secondo le cifre ufficiali,  90.761 civili  furono rinchiusi in  13 campi  nella regione centrale della Libia.
La propaganda del  regime fascista  erano dichiarava che i campi “oasi di civiltà” gestiti in modo efficiente, ma le condizioni erano del tutto precarie poiché, in media, 20 000 beduini erano internati insieme agli animali in un’area di 1 chilometro quadrato.

I campi avevano servizi medici quanto mai approssimativi: 1 medico ogni 30 000 reclusi!

Il tifo e altre malattie si diffusero rapidamente tra individui indeboliti da razioni alimentari insufficienti e dal lavoro forzato.

Secondo un recente sondaggio Eurispes, il 15% degli italiani intervistati nega Auschwitz e la Shoah: il dato stupisce e sconforta, ma dovrebbe preoccuparsi anche della rimozione generale dei crimini coloniali commessi dagli italiani in Etiopia come in Libia, che non ha quasi traccia nella nostra memoria nazionale.

Oltre alla strage di civili, gli Italiani Brava gente sono anche gli autori, della uccisionei, tra il 21 e il 29 maggio 1937, di circa due migliaia di monaci LOCALI, diaconi, studenti e fedeli laici etiopi.

Raccontò una reclusa: <<Le nostre donne dovevano tenere un recipiente nella tenda per fare i loro bisogni. Avevano paura di uscire. Fuori rischiavano di essere prese […] dagli italiani>>. <<Ogni giorno uscivano dal campo cinquanta cadaveri>>, narrò un altro prigioniero, <<venivano sepolti in fosse comuni.

Cinquanta cadaveri al giorno, tutti i giorni. Li contavamo sempre. Gente che veniva uccisa. Gente impiccata o fucilata. O persone che morivano di fame e di malattia>>.

Quando i campi furono chiusi, nel settembre 1933, vi avevano perso la vita non meno di 40 000 persone. Storici libici hanno rilevato nell’operato italiano una volontarietà violenta derivante non solo da un’ideologia coloniale e razzista, ma esplicitamente anti-nomade e anti-beduina, e da questa constatazione sono partiti per muovere le prime accuse di genocidio al governo italiano.

La violenza coloniale in Etiopia

Condotto dal generale Emilio De Bono, poi rimpiazzato dal maresciallo Pietro Badoglio, l’esercito italiano invase l’Etiopia dalla colonia eritrea a nord e dalla Somalia a sudest. Contravvenendo al Protocollo di Ginevra sottoscritto dall’Italia nel 1925, furono usate armi chimiche sin dalle prime fasi del conflitto:

giunsero in Eritrea 270 tonnellate di aggressivi chimici per l’impiego ravvicinato, 1000 di bombe caricate a iprite per l’aeronautica e 60 000 granate caricate ad arsina per l’artiglieria.

All’aviazione fu ordinato di utilizzare il gas su larga scala, irrorandolo sui soldati e sui civili con sorvoli a bassa quota, allo scopo di terrorizzare la popolazione e spezzarne ogni resistenza.

Nell’aprile 1936 il famigerato Rodolfo Graziani diede inizio all’offensiva da terra su Harar, dopo aver gassato e bombardato per un mese la difesa etiope. Il vescovo cattolico di Harar scrisse ai suoi superiori in Francia: <<Il bombardamento che gli italiani hanno fatto contro la città è un atto barbaro che merita la maledizione del Cielo>>.

In maggio Mussolini proclamò la nascita dell’impero e investì Graziani del triplice incarico di viceré, governatore generale e comandante superiore delle truppe. Il 5 giugno e l’8 luglio gli telegrafò i seguenti ordini: <<Tutti i ribelli fatti prigionieri devono essere passati per le armi>> e <<Autorizzo ancora una volta V.E. a iniziare e condurre sistematicamente politica del terrore et dello sterminio contro i ribelli et le popolazioni complici stop. Senza la legge del taglione a decuplo non si sana la piaga in tempo utile. Attendo conferma>>.

Le repressioni di Graziani

Il 19 febbraio 1937 ad Addis Abeba Graziani rimase vittima di un fallito attentato ai suoi danni. La repressione che ne segui colpì indistintamente civili innocenti. Il giornalista Ciro Poggiali, inviato speciale del Corriere della Sera in Etiopia riferiva: <<Tutti i civili che si trovano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente coi sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada. Vedo un autista che, dopo aver abbattuto un vecchio negro, gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara e innocente>>.

Due giorni dopo l’attentato, Graziani scriveva a Mussolini: <<Dal giorno 19 at oggi sono state eseguite trecentoventiquattro  esecuzioni sommarie , tuttavia con colpabilità sempre discriminata e comprovata (ripeto trecentoventiquattro).

Ho inoltre provveduto a inviare nel campo di concentrazione esistente fin dalla guerra numero millecento persone fra uomini, donne e ragazzi>>. A fine mese le vittime erano tra 1400 e 6000 (secondo fonti inglesi e francesi), 30 000 secondo gli etiopi.

Ritenendo che i responsabili dell’attentato fossero stati ospitati nel  monastero  copto di Debre Libanos, a nord di Addis Abeba, Graziani ordinò il massacro di tutti i monaci e degli studenti ritenuti corresponsabili. Secondo i dati ufficiali dei telegrammi inviati al duce, morirono 297 monaci e 23 laici; tuttavia, studi recenti hanno ipotizzato un numero di vittime molto maggiore (1400-2000 persone).

Il massacro dei religiosi fu all’origine della rivolta nei territori etiopi del Lasta, che Graziani nei mesi successivi soffocò nel sangue, accompagnando la violenza con queste parole: <<La rappresaglia deve essere effettuata senza misericordia su tutti i paesi del Lasta […]

Bisogna distruggere i paesi stessi perché le genti si convincano della ineluttabile necessità di abbandonare questi capi […] lo scopo si può raggiungere con l’impiego di tutti i mezzi di distruzione dell’aviazione per giornate e giornate di partecipazione essenzialmente adoperando gas asfissianti>>.

Un vergognoso oblio

L’avventura coloniale italiana si concluse ancor prima della fine del regime fascista e l’impero tramontò definitivamente nel 1943. Eppure, l’opinione pubblica e la classe politica repubblicana hanno a lungo dimenticato i crimini commessi dal nostro esercito. Le violenze frutto dell’occupazione in Libia ed Etiopia, le politiche e gli atti oggi definibili come genocidio, le repressioni e le violenze compiute sono rimaste oggetto di un oblio e di un esercizio revisionistico tra i più vergognosi dell’età contemporanea. Ancora pochi anni fa, la Regione Lazio valutava la possibilità di investire denaro pubblico per la costruzione di un mausoleo in onore di Rodolfo Graziani ad Affile (Roma), sua città natale, e dal 2006 giace in Parlamento una sempre ignorata proposta di legge per l’istituzione di una giornata commemorativa delle vittime del colonialismo italiano in Africa..

I telegrammi di Mussolini

 
Le fonti più importanti ed autorevoli che ci permettono di ricostruire la vicenda dell’uso dei gas in Etiopia sono i telegrammi che Mussolini inviò a Badoglio e Graziani.
 
A seconda dei casi, si tratta di autorizzazioni o di solleciti. L’essenziale, per il Duce, era di spezzare la resistenza nemica il più in fretta possibile.
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