GuerraOppio Cina

November 13, 2023
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Le guerre dell’oppio furono due conflitti, svoltisi rispettivamente dal 1839 al 1842 e dal 1856 al 1860, che contrapposero

l’Impero cinese sotto la dinastia Qing al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, i cui interessi militari e commerciali nella regione erano stati posti sotto il controllo della Compagnia britannica delle Indie orientali.

Sconfitto in entrambe le guerre, l’Impero cinese fu costretto a tollerare il commercio dell’oppio e a firmare con i britannici i trattati di Nanchino e di Tientsin, che prevedevano l’apertura di nuovi porti al commercio e la cessione dell’isola di Hong Kong al Regno Unito[1].

Ebbe così inizio l’era dell’imperialismo europeo in Cina, e numerose altre potenze europee seguirono l’esempio, firmando con Pechino vari trattati commerciali. Gli umilianti accordi con gli occidentali ferirono l’orgoglio cinese e alimentarono un sentimento nazionalista e xenofobo, che si sarebbe poi espresso nelle rivolte di Taiping (18501864) e dei Boxer (18991901).

Alcuni storici, soprattutto cinesi, considerano questo conflitto come l’inizio del secolo dell’umiliazione.[2][3]

oppio baudelaire

Quando un paese difende gli interessi di una multinazionale (la Compagnia delle Indie) nei commerci illeciti e giustifica le sue azioni con il movente “civilizzatore”

“Non conosco guerra più ingiusta di questa: finirà per coprire di vergogna senza fine il nostro Paese”. Così si espresse nel 1839, durante una movimentata seduta del Parlamento inglese, il giovane Tory William Gladstone, mentre l’Inghilterra si apprestava a dichiarare guerra alla Cina per (sono sempre parole sue) “proteggere un infame traffico di contrabbando”.


Gladstone era un brillante oratore (infatti farà carriera: diventerà più volte primo ministro del Regno), ma troppo forti erano gli interessi in gioco.

Prevalse la controparte,  che accusava “l’insopportabile presunzione dei cinesi”, colpevoli di non voler stare alle regole (inglesi) degli scambi commerciali. 

Poco importa che il commercio in questione fosse quello di oppio, una droga che aveva ridotto allo stremo milioni di asiatici. Ma che per più  di 60 anni fu la principale fonte di reddito del’Impero britannico.


Certo è che con le guerre dell’oppio per la Cina si aprì un periodo strano, a cui non era preparata, e che non a caso sui libri di scuola orientali è definito “secolo dell’umiliazione”. Ma vediamo come tutto era comiinciato.

La diffusione dell’oppio dall’Europa all’Asia Dal bacino del Mediterraneo, l’oppio iniziò ad arrivare in Asia al seguito della spedizione di Alessandro Magno. Al cuni secoli dopo, fu la volta degli arabi che, successivamen- te alla caduta dell’impero romano, si dedicarono alla commercializzazione in Oriente dell’oppio coltivato in Egitto,
contribuendo poi a far conoscere la coltura del papavero e le tecniche per ricavare la droga.

A differenza dell’alcol, l’uso dell’oppio non era interdetto per i credenti dell’Islam e que
sto ne permise la diffusione sulla scia di quella della religione musulmana. Gli arabi furono probabilmente anche i primi a scopri re il metodo per potenziare gli effetti ipnotici della droga attraverso il fumo.

Al tempo stesso la grande tradizione medica islamica elaborò nuovi preparati, come testimoniato dal più famoso medico e filosofo della scuola islamica, il persiano
Avicenna, che nel 1037 d.C. morì proprio per avvelenamento
da oppio.

In questi secoli la coltivazione del papavero e il consumo dell’oppio si radicarono in particolare nella civiltà per siana, dove la droga divenne per lungo tempo un prodotto fondamentale degli scambi commerciali interni e con i paesi limitrofi.

oppio bayer

Per caprire quello che successe in Asia  con l’oppio esportato dagli europei, Inghilterra e Olnada in Primis, facciamo un breve escursus, riepilogativo.

La rivoluzione industriale

l’intensità dei ritmi lavorativi, connessi ai nuovi processi produttivi, non si conciliavano facilmente con le esigenze dell’industria di un ritmo crescente della produzione.

L’industrializzazione del mercato farmaceutico e la diffusione delle farmacie contribuirono ad aumentare l’offerta della sostanza. Alla fine del Settecento, in Inghilterra, i medici cominciarono a denunciare il fatto che gli operai delle manifatture di cotone ricorrevano ad una dose abituale di grani d’oppio per lenire la stanchezza serale provocata dal duro lavoro.

Quest’abitudine, che faceva la fortuna di molti speziali, cominciava a diventare un problema di salute pubblica. Era opportuno ricondurre nei giusti limiti ciò che si era pericolosamente, trasformato in un procedimen- to di autoprescrizione. Il fenomeno andò inevitabilmente crescendo.

Medici illustri tessevano le lodi dell’oppio nei trattati raccomandandone l’uso per patologie che, come la tubercolosi, erano sempre più diffuse mentre la sostanza si reperiva sempre più facilmente nelle farmacie. 

fumerie opp

All’inizio dell’Ottocento, anche in Francia, l’oppio è il dramma comune delle fasce povere della popolazione.

 Le prime taverne dell’oppio si diffusero dalle città di porto alle capitali europee. Charles Baudelaire descrive come il numero degli amanti dell’oppio, nella Londra degli anni Venti dell’Ottocento, fosse immenso. 

Fumavano intellettuali, preti ed artisti mentre le fumerie diventavano luoghi alla moda dove si potevano incontrare scrittori che frequentavano l’ambiente bohémien, come Guillaume Apollinaire, o gli artisti più attivi nell’avanguardia parigina come Toulouse-Lautrec.

Gli stati europei lamentavano la diminuzione delle loro riserve d’oro che, faticosamente raccolto nelle colonie, veniva disperso nella importazione di manufatti con l’Oriente senza possibilità di riequilibrare la bilancia commerciale.

Le grandi compagnie europee pensarono che l’oppio potesse diventare la moneta vincente, se fossero riusciti a spacciarlo in tutti i locali conviviali Cinesi. Le FUMERI, che svilupparono rapidamente a centinaia

Perché diventasse un vero affare bisognava che la doman- da aumentasse vertiginosamente. Per far questo occorreva ignorare le leggi, violare in ogni modo i fondamenti della cultura locale e costruire una rete capillare per lo spaccio della sostanza: strategie già sperimentate con successo dalle grandi compagnie nelle colonie africane e amerindie. Con l’aumentare dell’uso, il prezzo dell’oppio sarebbe sceso, divenendo ancora di più alla portata di tutti.

In pochi anni la Cina vide le spese per l’importazione dell’oppio superare in modo esponenziale i proventi delle proprie esportazioni di tè, delle seterie e dei tessuti di cotone.

Il gioco dello spaccio ormai era fatto con il consenso degli Stati Europei. Dai Re ai Lord. A tutti quanti dentro lo sporco affare, I Regni, gli Imperatori, i Dittatori tutti del tempo

missi cinaaa

Il ruolo delle CHIESE

La presenza del cristianesimo in Cina risale alla prima metà del VII secolo, con l’arrivo dei primi monaci cristiano-nestoriani: evento ufficialmente attestato dal ritrovamento, avvenuto nel 1625 a Chang An (XiAn), di un’antica stele. (2) Il manufatto, attualmente custodito nel Museo Provinciale dello Shaanxi.

Un’altra prova documentale la fornisce, infatti, il Libro sull’ascolto del Messia che, oltre a racchiudere un ritratto del volto di Cristo, ne riporta parte del suo insegnamento, definito come una via da percorrere (dao).

In questo testo è possibile notare una riformulazione del messaggio cristiano attraverso l’utilizzo di terminologie e concetti tipicamente buddisti. Colpito dal ritrovamento del testo, l’imperatore Taizhong fece condurre approfonditi studi sulla “Religione della Luce”, permettendone poi la diffusione ed ordinando anche la costruzione di un monastero.

Cattura 22

Dopo una prima fase di penetrazione favorita dall’amichevole atteggiamento delle istituzioni cinesi, nell’845 i monaci nestoriani furono messi al bando dall’imperatore taoista Tang Wu Zang, che governò dall’840 all’846, e che combatté prima il buddismo e poi tutte le altre religioni straniere. 

Nonostante l’irrigidimento del potere centrale nei confronti delle religioni,  i cristiani non scomparvero totalmente dal territorio cinese.

Nell’XI secolo si ha, infatti, notizia di un nucleo, ancora residente a Canton, costituito probabilmente da mercanti persiani, mentre altre nuove comunità continuarono a resistere nei regni settentrionali turco-mongoli dei Liao e dei Jin.

Dalla messa al bando dei nestoriani bisognò attendere il XVIII secolo – se si esclude l’ambasceria del francescano perugino Giovanni da Pian del Carpine inviato nel 1245 in Mongolia da papa Innocenzo IV per convincere il Gran Khan ad entrare in guerra contro gli ottomani – prima che il cristianesimo romano iniziasse ad essere predicato in Asia orientale.

riccicina

Uno dei maggiori meriti dei gesuiti fu quello di fare scoprire all’Europa – dopo l’entusiasmante esperienza compiuta, tra il 1271 e il 1288, dal veneziano Marco Polo da suo padre Niccolò e dallo zio Matteo –  il misterioso pianeta Cina.

Anzi, si può dire che Ricci e il missionario e linguista Michele Ruggieri (1543 –1607) andarono ben oltre, creando addirittura una nuova scienza, la “sinologia” .

Sotto il profilo dell’evangelizzazione, la predicazione di Ricci ebbe successo poiché basò la sua prassi sull’adattamento del cristianesimo ai valori cinesi derivati dal confucianesimo.

Un tipo di predicazione, quello di Ricci, non ben visto tuttavia da una parte dei vertici della chiesa cattolica. Non a caso, nel 1707, il rappresentante del papa in Cina e India, il piemontese Charles-Thomas Maillard De Tournon (1668-1710) vieterà il “rito cinese” (introdotto da Ricci), rendendo il cattolicesimo inviso all’imperatore. 

missicina

Ciononostante, con il passare del tempo i gesuiti si accorsero di essersi impegnati in un’operazione che andava ben oltre le loro limitate forze.

Rispetto alla massa dei fedeli da istruire e convertire, il numero dei missionari, ma anche quello delle strutture e dei mezzi a loro disposizione, risultava infatti del tutto insufficiente.

i gesuiti tesero ad interpretare e a citare Confucio come una sorta di “maestro di vita”. La stessa tolleranza e malleabilità venne anche applicata nei confronti degli antichi riti di venerazione degli antenati, molto diffusi sia in Cina che in Giappone.

Fu da questa sorta di atteggiamento pragmatico e illuminato che scaturì il già citato cattolicesimo di “rito cinese” che, tuttavia, nella seconda metà del XVII secolo i nuovi missionari domenicani e francescani contesteranno tenacemente nell’ambito di un più generalizzato attacco alla politica dei gesuiti

Rimane però tutto da scoprire il ruolo che i Ns Missionari e la religione occidentale ebbe in questo delicatissimo momento storico, lo faremo nel prossimo Blog. Grazie per l’attenzione

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