Viittime 2°guerra mondiale

January 27, 2024
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Il numero dei morti della seconda guerra mondiale è il più alto di qualunque altra guerra della storia. Si calcola che le vittime di questo conflitto siano in totale 70 milioni e che il prezzo più alto lo abbia pagato l’Unione Sovietica con 23 milioni di morti.
La stima del numero totale di vittime della seconda guerra mondiale non è determinabile con certezza e varia molto, ma le cifre più accertate e per cui tutti vanno più o meno d’accordo parlano di un totale, tra militari e civili, compreso tra 60 milioni e più di 68 milioni di morti.
Il paese con più morti in valore assoluto fu l’Unione Sovietica, mentre in rapporto alla popolazione fu Singapore con più di 28 abitanti su cento.
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Oltre a una certa cifra, i numeri non sono più immaginabili. Servono raffigurazioni, schemi, immagini per farsi un’idea di certe grandezze. È il caso, ad esempio, delle vittime della Seconda Guerra Mondiale

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La lettura delle tabelle, al di là delle cifre impressionanti e anche delle rilevanti differenze di calcolo (Benz calcola che le vittime siano state quasi un milione più di quelle calcolate da Bauer e Rozett), consente di trarre qualche conclusione importante sull’andamento del genocidio e, forse, anche sui fattori che ne hanno più o meno favorito l’attuazione.

  1. La prima considerazione riguarda il fatto che i Paesi nei quali più alto fu il numero delle vittime sono quelli dell’Europa orientale e sud-orientale: la Polonia (oltre l’89% degli Ebrei uccisi), la Lituania (oltre l’84% degli Ebrei uccisi), la Lettonia (oltre il 77% degli Ebrei uccisi), la Grecia (dal 74% al 76% degli Ebrei uccisi), la Jugoslavia (dal 69% all’80% degli Ebrei uccisi, a seconda della fonte), l’Ungheria (quasi il 68% degli Ebrei uccisi). Questa dislocazione geografica del genocidio si spiega in modi diversi, a seconda dell’area geografica considerata.
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  1. La Polonia, come si è visto ripetutamente, fu un vero e proprio laboratorio del genocidio, il Paese in cui probabilmente lo sterminio degli Ebrei venne concepito e più diligentemente realizzato. A questo risultato contribuì sicuramente il fatto che i Tedeschi occuparono la Polonia all’inizio della guerra ed ebbero la possibilità di consolidarvi il sistema di dominio forse più feroce (paragonabile soltanto al sistema di dominio instaurato dai nazisti in Unione Sovietica).
  2. A ciò si aggiunga che in Polonia l’antisemitismo era piuttosto diffuso tra gli stessi polacchi non-Ebrei, i quali nella loro maggioranza restarono indifferenti alla tragedia di un intero popolo che si stava compiendo sotto i loro occhi e che in moltissimi casi collaborarono attivamente alla persecuzione degli Ebrei, per esempio denunciando gli Ebrei che erano riusciti a nascondersi o a mescolarsi alla popolazione “ariana”.
    Le repubbliche baltiche, in particolare la Lituania e la Lettonia, oltre ad essere anch’esse tradizionalmente caratterizzate da un forte antisemitismo, vedevano la presenza, sul proprio territorio, di un numero considerevole di Volksdeutsche, i quali erano probabilmente più sensibili alla propaganda nazista e che di fatto furono i principali beneficiari degli espropri compiuti sia a danno degli Ebrei, sia a danno di altre popolazioni slave dell’Europa orientale.
    La presenza di forti movimenti filo-nazisti locali spiega anche la portata dei massacri avvenuti in Ungheria (dove le “Croci Frecciate” intrapresero un vero e proprio bagno di sangue nelle ultime settimane di guerra) e in Jugoslavia (dove lo sterminio fu attuato soprattutto dalle milizie fasciste di Ante Pavelic).
    In Grecia, invece, il genocidio venne favorito dal fatto che la comunità ebraica era concentrata in poche località (soprattutto nella città di Salonicco e nelle isole di Corfù e di Rodi), il che facilitò enormemente l’organizzazione degli arresti e della deportazione
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2. Una seconda considerazione riguarda il fatto che, in termini assoluti, fatta eccezione per il Lussemburgo e per l’Olanda, le persecuzioni antisemite furono di gran lunga più contenute nei Paesi occupati dell’Europa occidentale.
Ciò non si spiega soltanto con il fatto che in questi Paesi l’antisemitismo era meno radicato e meno violento che nell’Est Europa, ma anche con il diverso atteggiamento che i Tedeschi vi mantennero. Essendo questi Paesi destinati, dopo la guerra, a orbitare nella sfera d’influenza tedesca, ma con lo statuto formale di Stati nazionali, i Tedeschi si preoccuparono di non eccedere nella ferocia, allo scopo di non inimicarsi le relative opinioni pubbliche.

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3. La terza osservazione, forse la più significativa, riguarda i Paesi nei quali le persecuzioni furono molto blande o addirittura inesistenti, come la Finlandia (Paese che peraltro era governato da forze filo-naziste) e la Danimarca (occupata nel 1940 dai Tedeschi, i quali tuttavia mantennero in carica il governo legittimo).
Le bassissime percentuali di vittime ebraiche del nazismo attestano che il genocidio non era inevitabilea condizione di volerlo evitare. È interessante ricordare, per esempio, quanto accadde in Danimarca durante l’occupazione tedesca.

Quando, nel 1943, i tedeschi pubblicarono il decreto che imponeva agli ebrei di cucire sugli abiti la stella di Davide gialla per farsi riconoscere pubblicamente, il re di Danimarca, Cristiano X, protestò apertamente presso le autorità di occupazione, minacciando di utilizzarla egli stesso per primo.

Quando poi, nell’ottobre del 1943, trapelò la notizia che i nazisti avrebbero dato inizio agli arresti in massa degli ebrei e alla loro deportazione, i Danesi subissarono la polizia tedesca di proteste verbali e scritte; ambienti economici e finanziari, ambienti universitari, associazioni studentesche, ambienti ecclesiastici si mobilitarono attivamente per impedire l'”azione”.

Tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre, in tre settimane 7200 ebrei furono portati in salvo, con barche e pescherecci, nel territorio neutrale della Svezia. Solo 500 ebrei su 7800 vennero arrestati, ma nessuno di essi venne condotto ad Auschwitz: rinchiusi nel campo di Theresienstadt (Terezin), furono protetti sino al 1945 dal governo danese e dalla Croce Rossa svedese e soltanto 60 di essi morirono, per malattia, durante la detenzione.

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Seconda Guerra Mondiale Vittime Totali

Non è facile fare una statistica corretta dei morti duranye la seconda guerra mondiale. Perchè oltre le vittime sul campo si devono considerare, le vittime in conseguenza di ferite gravi o mutilazioni

In una prima sintesi, possiamo dire che i numeri relativi alle vittime sono i seguenti. 

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Si Evince  subito che le vittime in maniera più che proporzionale sono Russe e Cinesi.  

Mentre i paesi europei impegnati nel conflitto e LIBERATI, infinitamente meno. 

Gli americani LIBERATORI  attorno a 400 mila, poco meno gli inglesi ( e poi vedremo perchè).

In un momento di riflessione allora ci chiediamo, perchè quando nell’immagine del mondo gli Eroi liberatori di questa immane guerra il riferimento immediato è la bandiera a stelle ed a strisce??

Perchè emergono alcune ricostruzioni propagandistiche e , circolano anche ora, rinforzate nel tempo dagli stereotipi diffusi da film e romanzi. Si tratta di revisioni di comodo, piccole omissioni, mezze verità.

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Si scoprono cose curiose: che la forza delle armate tedesche era, ed è tuttora, sopravvalutata: anche le SS, considerate composte da fanatici dalle pulsioni mistiche, erano in realtà male preparate e poco equipaggiate. Si sconta, ancora oggi, il prezzo della propaganda nazista che puntava a vincere, prima di tutto, sul piano psicologico.

E che per converso, anche l’immagine di un esercito italiano composto da svogliati fannulloni, restii a combattere e tutto sommato simpatici – veicolato da decine e decine di film – punta a cancellare tutte le efferatezze commesse, con convinzione, dall’esercito fascista.

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L’Italia, dopo la caduta del regime e la fuga del re, passa nel campo degli Alleati e si trova a dover ricostruire una verginità. È il mito dell’italiano “buono” contrapposto al tedesco “cattivo”: operazione incoraggiata dagli americani (per attirare la fiducia dell’Italia) e cavalcata da Roma, che riesce a sfilarsi dalla responsabilità, enorme, dei crimini di guerra nazi-fascisti – e ancora adesso se ne vedono gli effetti.

Nemmeno la Francia è esente. Il contributo fornito alle forze alleate per la vittoria è stato minimo – ma gonfiato con sapienza dal generale De Gaulle. Se nella Prima Guerra Mondiale le forze di Parigi in campo erano il 35 per cento, nella Seconda diventano il 3 per cento.

E ancora: l’idea che Hitler abbia invaso la Russia solo per battere i sovietici sul tempo era una falsità messa in giro dal regime naziste per giustificare l’attacco. Ma che permane, accettata anche dai russi.

seconda guerra mondiale

Sono convinzioni, mitologie, idee che si sono stratificate durante e soprattutto dopo la guerra, messe in campo per giustificare scelte strategiche, cambi di alleanze, sconfitte cocenti. E poi per dare un senso al nuovo assetto geopolitico mondiale.

A questo proposito, come spiega lo storico Paolo Soddu, professore all’Università degli Studi di Torino, si può aggiungere come ultimo «il mito del “terrore della guerra”. Si impone al termine del conflitto e mira a rappresentarlo come l’ultimo possibile prima della distruzione dell’umanità».

È cosa diversa dal «pacifismo che era seguito alla Prima Guerra Mondiale: il nuovo ordine, in equilibrio tra la potenza americana e quella sovietica, era basato sull’atomica».

La paura dell’escalation militare ha la funzione di governare le fasi più calde del conflitto bipolare tra America e Russia «e al tempo stesso si traduce nella convinzione che lo scontro armato non sia più lo sbocco risolutivo delle tensioni», come avveniva all’inizio del secolo. «Il confronto si attua chiamando a raccolta tutti gli aspetti della vita quotidiana».

A scontrarsi, insomma, erano modelli di vita o, meglio ancora, «modelli diversi di globalizzazione», ciascuno con le proprie mitologie.

sbarco anglo americano

Ideologie, ricostruzioni parziali, nuove riletture che miravano a giustificare il nuovo assetto geopolitico. Come quella degli italiani poco interessati alla guerra, o la forza (sopravvalutata) delle armate tedesche

Ma alcune ricostruzioni propagandistiche hanno continuato a circolare a lungo. Anzi, circolano anche ora, rinforzate nel tempo dagli stereotipi diffusi da film e romanzi. Si tratta di revisioni di comodo, piccole omissioni, mezze verità.

Alcuni testi cercano di smontarli e uno, in particolare, come Les mythes de la Seconde Guerre Mondiale (Perrin, due volumi, 2017 e 2018) mira a farne un elenco, raccogliendo, tema per tema, interventi coordinati da Jean Lopez e Olivier Wieviorka.

Si scoprono cose curiose: che la forza delle armate tedesche era, ed è tuttora, sopravvalutata: anche le SS, considerate composte da fanatici dalle pulsioni mistiche, erano in realtà male preparate e poco equipaggiate. Si sconta, ancora oggi, il prezzo della propaganda nazista che puntava a vincere, prima di tutto, sul piano psicologico.

E che per converso, anche l’immagine di un esercito italiano composto da svogliati fannulloni, restii a combattere e tutto sommato simpatici – veicolato da decine e decine di film – punta a cancellare tutte le efferatezze commesse, con convinzione, dall’esercito fascista.

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L’Italia, dopo la caduta del regime e la fuga del re, passa nel campo degli Alleati e si trova a dover ricostruire una verginità. È il mito dell’italiano “buono” contrapposto al tedesco “cattivo”: operazione incoraggiata dagli americani (per attirare la fiducia dell’Italia) e cavalcata da Roma, che riesce a sfilarsi dalla responsabilità, enorme, dei crimini di guerra nazi-fascisti – e ancora adesso se ne vedono gli effetti.

Nemmeno la Francia è esente. Il contributo fornito alle forze alleate per la vittoria è stato minimo – ma gonfiato con sapienza dal generale De Gaulle. Se nella Prima Guerra Mondiale le forze di Parigi in campo erano il 35 per cento, nella Seconda diventano il 3 per cento.

sbarco in sicilia 2

E ancora: l’idea che Hitler abbia invaso la Russia solo per battere i sovietici sul tempo era una falsità messa in giro dal regime naziste per giustificare l’attacco. Ma che permane, accettata anche dai russi.

Sono convinzioni, mitologie, idee che si sono stratificate durante e soprattutto dopo la guerra, messe in campo per giustificare scelte strategiche, cambi di alleanze, sconfitte cocenti. E poi per dare un senso al nuovo assetto geopolitico mondiale.

È cosa diversa dal «pacifismo che era seguito alla Prima Guerra Mondiale: il nuovo ordine, in equilibrio tra la potenza americana e quella sovietica, era basato sull’atomica».

La paura dell’escalation militare ha la funzione di governare le fasi più calde del conflitto bipolare tra America e Russia «e al tempo stesso si traduce nella convinzione che lo scontro armato non sia più lo sbocco risolutivo delle tensioni», come avveniva all’inizio del secolo. «Il confronto si attua chiamando a raccolta tutti gli aspetti della vita quotidiana».

A scontrarsi, insomma, erano modelli di vita o, meglio ancora, «modelli diversi di globalizzazione», ciascuno con le proprie mitologie.

Si può celebrare in tanti modi la Liberazione dell’Italia nel 1945 ma ci sono dati, numeri e vite che non si possono smentire e che sono la base necessaria e oggettiva per dare una giusta dimensione storica all’evento. Dunque, per la Liberazione dell’Italia morirono nel nostro Paese circa 90mila soldati americani, sepolti in 42 cimiteri su suolo italiano, da Udine a Siracusa. 

guerra catania

Riguardo l’efficacia delle forze in campo, Forze di liberazione e Partigiani, si deve dire che furono gli Americani a liverare effettivamente l’Italia dalle forze tedesche, fino a sgominarli. Furono gli alleati angloamericani, sul campo, a battere i tedeschi; senza considerare il ruolo decisivo che ebbero i bombardamenti aerei degli alleati sulle nostre città stremate e sulle popolazioni civili per piegare l’Italia e separarla dal nefasto alleato tedesco.

Sulle lapidi dei cimiteri di guerra disseminati tra Siracusa e Udine, censiti da Massimo Coltronari, ci sono nomi di soldati e ufficiali hawaiani, australiani, neozelandesi, perfino maori, indiani e nepalesi, francesi e marocchini, polacchi, greci, anche qualche italiano del Corpo italiano di liberazione, e poi brasiliani, belgi, militi della brigata ebraica; ma la stragrande maggioranza sono americani, caduti sul suolo italiano. Molti erano di origine italiana: si chiamavano Ferrante, Lovascio, Gualtieri, Rivera, Valvo, Pizzo, Mancuso, Capano, Quercio, Colantuonio, Barrolato, Barone…

Guerra civili 3

Ed è certamente per questo che gli Alleati, alla fine del conflitto, 

Era chiaro che gli Stati Uniti vedevano se stessi come i protagonisti dominanti e egemonici sul palcoscenico mondiale ed erano convinti che il resto del secolo sarebbe diventato il “secolo americano,” quello dell’egemonia statunitense.  Ma come si sentivano quelli che erano stati invasi e anche liberati, riguardo alla presenza americana in Italia e all’influenza che gli Stati Uniti vennero ad avere sul paese?  Gli americani, cos’erano: liberatori o occupanti?

La questione non è così semplice, ma la presenza americana sul territorio italiano per la prima volta era sicuramente un’esperienza indimenticabile che avrebbe segnato il futuro culturale e politico del paese. 

Tutte le ideologie più o meno robuste presenti nell’Italia postbellica, per un motivo o per un altro, erano sospettose del “modello americano” che sembrava far parte del futuro italiano.  Da parte neofascista, l’antiamericanismo era al cuore dell’ideologia: il modo di vivere americano rappresentava una transizione dall’innovazione al supermaterialismo ispirato dallo sviluppo scientifico che portava la gomma dura, la bomba atomica, le macchine e lo scambio delle merci (Teodori 63-64). 

Per i neofascisti la soluzione al capitalismo americano e al modello dell’interventismo rooseveltiano era il sistema dello Stato etico, prima provato da Mussolini durante il suo regime fascista, un sistema non riuscito, di nuovo, dopo la guerra (64).

Prima della guerra, secondo la destra, il militarismo, il razzismo e la mancanza della Chiesa Cattolica avevano contribuito alla “dissoluzione dei costumi,” e “[all]’immoralità,” risultando nella creazione dei “superuomini amorali” americani (63, 65). 

Questo Argomento lo tratteremo in dettaglio nei prossimi Blog, per adesso grazie per l’attenzione

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